Emanuele Trevi: «Lo Strega? Un lungo tour per l’Italia»

Emanuele Trevi: «Lo Strega? Un lungo tour per l’Italia»
di Giorgia SALICANDRO
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Venerdì 16 Luglio 2021, 05:00

«Non ho riti, scrivo dove e quando è possibile. Non sono mica uno scrittore di professione, io». Sembra paradossale ascoltare queste parole dalla voce del neo vincitore del Premio Strega, il più prestigioso premio della letteratura italiana. Eppure Emanuele Trevi, partito super favorito e aggiudicatosi il primo posto con 256 voti con il romanzo “Due vite” (Neri Pozza), fa ancora fatica a stare nel personaggio che pure gli sarebbe richiesto. Del resto, come scrittore Trevi ha una carriera quasi ventennale alle spalle, dopo aver esordito nel 2003 con “Cani del nulla”. Con “Qualcosa di scritto” è stato finalista allo Strega nel 2012.

Scrive, lui, e tutti i giorni, ma tra una pagina e l’altra di quelle che poi vanno a finire sui libri mette molte, innumerevoli pagine di quotidiani, quelli con i quali collabora (il Corriere della Sera e il manifesto) e che lo portano, insieme agli altri impegni nell’agenda di un uomo di cultura, a stare spesso in giro rincorrendo le parole degli altri, più che chiuso tutto il giorno in una stanza a sentir risuonare la propria voce interiore, come ci si aspetterebbe da uno “scrittore di professione”.

Quando ha vinto lo Strega, pochi giorni fa, Trevi ha dedicato il premio a sua madre, «mancata durante questo periodo infernale della storia umana - ha detto - che si sarebbe divertita a vedermi in televisione perché amava tutte le gare da X Factor a Sanremo» e al fotografo Lorenzo Capellini.

Il giornalista e lo scrittore, il mondo del reale e quello interiore, sentito e immaginato si fondono anche in “Due vite”, il romanzo che racconta la storia vera di Rocco Carbone e Pia Pera, scrittori prematuramente scomparsi - Carbone nel 2008 in un incidente stradale, a 46 anni, Pera nel 2016, di Sla - legati da profonda amicizia. A distanza di anni, l’amico scrittore Trevi ne evoca il ricordo, ne ripercorre i caratteri, lo stile e lo stile di vita, in un attraversamento che è allo stesso tempo una restituzione verso l’eredità lasciata in dono da questo legame e un personale scandaglio delle grandi domande dell’esistenza. Il lavoro di editing è stato curato da Mario Desiati, il direttore artistico del Festival Armonia, che oggi lo attende per la conversazione sul libro insieme con Rossano Astremo.

Trevi risponde al telefono, fra un treno e l’altro, mentre è in viaggio verso il Salento, dove stasera è atteso per la presentazione del romanzo vincitore dello Strega al Festival Armonia, a Presicce.

Trevi, che impressioni porta con sé della finale del Premio Strega?

«Tutti pensano che quella serata sia il culmine.

In realtà, lo Strega è soprattutto un immenso tour che ti porta in tutta Italia, un po’ come fanno i musicisti. Non sono ipocrita, ho sempre avuto un seguito, ma chiaramente il circuito dello Strega consente un pubblico vasto. Sa, agli italiani piace la gara... i sessanta libri che diventano dodici, che diventano cinque, che diventano uno».

A lei non piace?

«Sì, sì, anche a me. Se lo fai, ti deve piacere, devi voler vincere, altrimenti ammosci anche gli altri. E poi devo dire di essermi trovato molto bene con gli altri finalisti, tutti e quattro, veramente delle persone splendide, ed è una cosa rara».

Questo tour ora la riporta anche nel Salento.

«Ci ero stato l’anno scorso, a Specchia, ricordo un pubblico immenso. Torno con “Due vite”, ma devo ammettere che sono un po’ stanco di portarmi dietro questo libro, spero già di poter parlare di altro».

Sta lavorando su altro?

«Certo, lavoro sempre...».

Riesce a scrivere in tour?

«Io non ho mai fatto lo scrittore di professione. io mi alzo la mattina e chiamo il giornale, poi, sa, ho una vita... Non ho riti, scrivo dove e quando è possibile. Se dovessi fissare un orario e un luogo per la scrittura, finirei per non scrivere affatto».

Perché, questo libro?

«Ho trovato delle foto, era il momento giusto per scriverlo. Per il resto, non so mai bene che cosa altro rispondere, a questa domanda».

Quale percorso ha seguito il processo di scrittura?

«Come sempre, dentro un libro ci metti un po’ l’anima, poi ti metti a confronto con gli altri. Ho trovato un ottimo interlocutore in Mario Desiati, che mi ha proposto un lavoro di editing radicale, ma ho seguito i suoi consigli, mi sono fidato, anche se non nascondo che all’inizio mi sembrava una rivoluzione troppo profonda. Sono stato io a cercarlo, e sono molto soddisfatto, il libro non sarebbe stato così efficace senza l’intervento di Mario».

Ha chiuso un capitolo scrivendo questo libro?

«Non lo so, io scrivo soprattutto per produrre un processo nella mente dei lettori, non penso a me, ma al fatto che le mie parole possano venire pensate e in qualche modo “completate” dagli altri».
 

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