Aprile 1948, quella guerra di carta contro lo spettro ‘soviet’

Aprile 1948, quella guerra di carta contro lo spettro ‘soviet’
di Claudia PRESICCE
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Martedì 26 Aprile 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 16:37

In lontani giorni di aprile come questi, nel 1948 l’Italia venne chiamata al voto, e non erano elezioni come le altre. C’era in gioco lo status politico del futuro del Paese nell’epoca postbellica, quella della ricostruzione, della rinascita dopo il buio del ventennio fascista, quella in cui si poteva pensare di tornare a guardare liberamente ad un territorio di recente unificazione che ancora procedeva con disuguale passo da Nord a Sud. Attese, speranza e anche paura erano il refrain di quei giorni strani. Quale strada seguire era chiaro orientativamente: chi aveva fatto la Resistenza sentiva forte la vicinanza al Comitato di Liberazione Nazionale, con chiare posizioni antifasciste e libertarie. Da un lato il Fronte Democratico Popolare, era la lista che comprendeva il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano, dall’altra una ridondante Democrazia Cristiana che era riuscita a strappare una buona ala socialista un anno prima per la scissione socialdemocratica voluta da Giuseppe Saragat.

C’era poi su tutt’altro fronte la destra, ancora divisa tra liberali, monarchici e i neonati missini (a dimostrare l’estrema aspirazione democratica italiana di quel tempo si accettarono da subito in Parlamento anche partiti sostanzialmente post fascisti, i ‘nemici’ giurati della nostra democrazia solo fino a qualche ‘giorno’ prima). Fu in quest’aria articolata alla maniera italiana che andarono maturando ferree disposizioni del mondo cattolico (incoraggiate e foraggiate anche dagli americani) che tendevano a contenere le possibili derive troppo sinistrorse di un’affermazione del Fronte Popolare che era chiaramente il vero avversario dei centristi della Democrazia Cristiana. 

Al voto per il primo Parlamento dell'Italia repubblicana

E propaganda fu, dagli aspetti anche grotteschi se non (involontariamente) comici a guardarli oggi, che percorse il Belpaese. Tra tutte queste variabili infatti in quel 18 aprile del 1948 si trattava di eleggere il primo Parlamento italiano dell’era repubblicana: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica che dovevano disegnare l’inizio del futuro e la fine di quello che c’era stato prima. E in questo clima di aspettative uguali e contrarie tra le forze in campo si scatenò una singolare “tempesta” oggi ricordata da immagini eloquenti. Quella sorta di ricognizione organizzata di tutte le forze clericali che, per contenere una temuta possibile avanzata del Fronte popolare (che si voleva vedere collegato all’Unione Sovietica e al totalitarismo comunista), divenne propaganda estrema e capillare esercitata sui territori in modo continuo e sistematico da tutte le propaggini riconducibili alla Chiesa e a movimenti, associazioni, comitati e attivisti non espressamente laici.

Una battaglia a colpi di slogan e di manifesti

Questa storia è raccontata nei manifesti che allora campeggiavano nelle nostre città. Le immagini qui riprodotte e tratte dal libro “18 aprile 1948: la mobilitazione delle organizzazione cattoliche” di Mario Casella (edito da Congedo Editore qualche anno fa) raccontano toni che furono talmente infiammati da rasentare, se non spesso scivolare, nel ridicolo. “Chi vota fronte vota Bifronte”: è un’immagine in cui si mostra un cittadino che mette la sua busta elettorale sotto la statua di Garibaldi che però dietro nasconde l’oscura faccia di Stalin. Praticamente è una sorta di Giano Bifronte appositamente ingannevole per l’elettore sprovveduto. Questo significa chiaramente dire che il Fronte popolare voleva ingannare gli elettori e che l’Italia, se avesse vinto il Fronte, avrebbe fatto la “fine” della Russia.

Ricorre spesso l’immagine di Stalin come mostruosa presenza: in un manifesto campeggia il suo faccione un po’ mascherato per camuffarsi e sotto compare la scritta: “ti conosco mascherina!”. Sempre l’idea dell’inganno e della paura di finire in un regime totalitario come quello sovietico (cosa peraltro lontanissima dal comunismo del Pci e mai neanche teorizzata da nessun leader della Sinistra in Italia, per quanto allora ci fossero rapporti con l’Urss) è sottesa alle icone. Ed è il nucleo della propaganda cattolica, peraltro espletata anche nelle chiese e negli oratori, nei convegni di quartiere e in modo capillare in tutto il Paese. C’è chi teorizza che fu un gioco di forza anche interno alla Dc, con l’appoggio dichiarato della Chiesa ai leader diciamo “meno laici” o comunque più vicini agli ambienti clericali.

Lo spettro di una repubblica dei soviet in chiave mediterranea in realtà era inviso a vari livelli e nessuno lo auspicava, invece la promozione lo mostrava falsamente come cosa certa e fattibile nell’ipotesi della vittoria delle sinistre.

Il "terrore" della Russia

Un altro manifesto: un personaggio impaurito corre lasciandosi dietro immagini della Russia tra fuoco e filo spinato. L’uomo scappa da tutto questo implorando “ascoltatemi! Votate Italia e non Fronte Popolare”. Ancora più esplicito è il discorso di un manifesto che mette al centro un bivio: da un lato che una strada dritta verso Chiesa, famiglia e lavoro, mentre dall’altro lato una strada ritorta e sconnessa vede accogliere le parole “agitazione, guerra e miseria”.

Se ovunque emergono personaggi col cappellino con la stella dei soviet e la faccia da teschio per fare paura agli elettori, uno dai toni violenti e perentori è il manifesto che ritrae una gioiosa immagine di famiglia con padre, madre e tanto di bambino in braccio: un grosso coltello con su la scritta “voto cristiano” difende questa famigliola dall’intreccio di terribili serpenti inviluppati tra parole pericolosissime come “divorzio” e “libero amore”.

Inutile dire che le masse popolari abituate a un’opera ventennale di indottrinamento e manipolazione artatamente organizzata dal regime fascista erano terreno fertile per tale proselitismo militante. Avvezze ad ascoltare più il prete del politico per anni, vennero facilmente conquistate da questa propaganda, più che da quella di vento contrario che in parte si cullò ingenuamente sull’onda lunga della Resistenza. La Dc di Alcide De Gasperi vinse e divenne in breve tempo il riferimento dell’elettorato anticomunista. E lo sarebbe rimasto per i 50 anni successivi.

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