De Cataldo: «Il Salento?
Questa terra non è Disneyland»

De Cataldo: «Il Salento? Questa terra non è Disneyland»
di Claudia PRESICCE
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Mercoledì 19 Dicembre 2012, 12:01 - Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 12:01
LECCE - “L’albanese avrebbe portato a termine il lavoro. Ne andava del suo onore. A Jack Anfuso dell’onore di quel montanaro neanderthaliano in veste di killer di fiducia del boss non gliene fregava un accidente. E men che meno gliene fregava di un altro onore: quello di Ilenia Bovozzone. Quando Don Ciriaco gli aveva ordinato di liquidare il cantante, sorpreso con la lingua fra le generose gambe dell’adorata figlia unica del boss, aveva cercato di dissuaderlo in tutti i modi…”.

Ecco un piccolo caldo assaggio di uno dei due racconti su cui si costruisce “Int’allu Salento” (Ad est dell’equatore; 10 euro) l’ultimo lavoro dato alle stampe da Giancarlo De Cataldo. Il magistrato tarantino qui si cimenta nella ricostruzione quasi fumettistica di una certa malavita meridionale, composita ma di piccolo cabotaggio, dilettandosi soprattutto in una singolare costruzione linguistica, come si evince dallo stesso titolo. Dal dialetto stretto un po’ tarantino e un po’ salentino, impuro e spesso italianizzato, i suoi protagonisti tengono alta l’attenzione tra dialoghi serrati e coloriti, dove si decidono violenze inenarrabili come se si parlasse del pane quotidiano.



Cominciamo dall’inizio. Ci può raccontare la genesi di questi due racconti? Richiamano molto lo stile dei suoi romanzi storici recenti, ma evidentemente sono contemporanei e anche un po’ irriverenti rispetto alla Puglia di oggi…

«E’ andata così: ci siamo incontrati con i ragazzi di A Est dell’Equatore, editori, ci siamo piaciuti (fra meridionali ci si intende, no?), è nata l’idea della collaborazione, ho sfornato questi due piccoli racconti, uno drammatico, per non dire tragico, l’altro decisamente più leggero... però non direi che c’è qualcosa di irriverente. Forse per chi crede che la Puglia sia Disneyland. Ma non lo è: è una grande e bella regione con le sue luci e le sue ombre, le sue grandezze e le sue criticità».



La scelta linguistica è studiata nel dettaglio, un dialetto “impuro” con cambi di registro per intenditori. Dove nasce? L’amore per la sperimentazione linguistica viene da letture particolari, dalla sua infanzia pugliese o piuttosto dalle deposizioni a cui assiste in tribunale?

«Beh, un certo sound natìo ti resta nelle orecchie, chiaro. È quello degli zii che si radunavano la sera d’estate sull’aja di una casetta colonica a sentire l’opera lirica da una vecchia radio... E un po’ anche la lingua della “mala” ti entra dentro, certe sintesi umoristiche fulminanti delle quali i cattivi sono capaci, molto divertenti anche nella loro crudeltà».



La scrittura fluente è sempre un talento innato, ma riguardo ai temi, quanto ha potuto attingere dal suo lavoro di magistrato nell’ispirazione delle storie?

«È una domanda che mi sento rivolgere spesso. Devo dire che poter assistere a tanti processi è sicuramente un privilegio, perché si imparano tante cose e si entra in contatto con quel lato oscuro dell’essere umano che spesso è o nascosto o mascherato. Però, come scrittore, non vivo esclusivamente di storie giudiziaria, ci mancherebbe! Questi due racconti di “Int’allu Salento”, per esempio, sono decisamente di fantasia».



Chi ha amato molto “I Traditori” si sente un po’ orfano di personaggi come la Striga e altri, come se non potesse finire tutto con quel libro. Ci sono progetti cinematografici che riguardano i “suoi” lavori?

«Sì, anch’io sento nostalgia della Striga e del fantasma di Mazzini. Chissà che un giorno non torniamo a frequentarci. Quanto alla scrittura, mi permetta di fare il meridionale superstizioso, e di non rispondere. Ci sono trattative in corso e non si sa mai».



Ma se dipendesse da lei su quale delle sue o altre scritture oggi punterebbe?

«Se dipendesse da me, farei una grande saga sul Risorgimento e un’altra, altrettanto lunga e complessa, sui vent’anni italiani dal ’92 a oggi».

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