Plautilla, un'architettrice nella Roma seicentesca

Plautilla, un'architettrice nella Roma seicentesca
di Claudia PRESICCE
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Sabato 8 Agosto 2020, 13:37 - Ultimo aggiornamento: 13:39
Nella Roma seicentesca in cui furoreggiarono nomi destinati a diventare canoni della Storia dell'arte e dell'architettura, la giovane Plautilla Bricci ebbe l'ardire di diventare pittrice e architettrice, e di creare pure una splendida villa sul Gianicolo. Artista sopraffina, figlia di Giovanni Bricci che si muoveva nel mondo fervido dell'arte di quel tempo, quella donna romana (1616-1705) poteva diventare un precedente storico importante, tanto audace da risultare scomodo in quella tumultuosa capitale papalina del tempo bigotta nelle apparenze e libertina nel midollo. Meglio dimenticarla, anche perché non c'era una discendenza che potesse rivendicare il ruolo di Plautilla, donna ambiziosa con il coraggio di avere talento.

È stata la scrittrice Melania Mazzucco (tra le tante cose, studiosa appassionata anche di altre ricostruzioni biografiche e artistiche) a voler andare a fondo agli scarsi riferimenti biografici della storia di Plautilla, restituendole così in un intenso romanzo storico un valore dimenticato da 400 anni. L'architettrice di Melania Mazzucco sarà presentato stasera ad Alessano. Il valore del raccontare una donna artista, finita tra le pieghe della storia, e finalmente riportata davanti ad un grande pubblico, è qui ottimizzato da una scrittura letteraria e dalla contestualizzazione travolgente del romanzo.

Melania Mazzucco cominciamo spiegando chi era Plautilla, il suo mondo e i suoi sogni realizzati.

«Quando pose la prima pietra alla fondazione della Villa da lei progettata, Plautilla Bricci fece tracciare su una lamina di piombo una scritta in cui rivendicava di essere celebre come pittrice e architettrice. Mi piace dunque ricordarla così. Romana, figlia di un pittore minore e autore di teatro piuttosto geniale, nel corso della sua lunga vita riuscì a farsi conoscere come valida pittrice e a diventare addirittura la prima donna architetto dell'Europa moderna. Fu certo suo padre a educarla al mestiere della pittura, ma quello dell'architettura fu un sogno tutto suo, che coltivò quasi in segreto finché non incontrò un uomo, l'abate Elpidio Benedetti, che le diede la possibilità di cimentarsi nell'impresa di realizzarlo. Riuscì a fare tutto ciò nel luogo e nel tempo, la Roma del Seicento, teoricamente meno indicato, perché Roma era una città di uomini e pensata per gli uomini. Anche per questo il suo esempio ha valore oggi».

Ci racconta della Villa del Vascello e del legame con Plautilla?

«Plautilla disegnò e costruì Villa Benedetta sul Gianicolo per Elpidio Benedetti. Ma dopo la morte dell'abate, la villa ebbe molti proprietari e perse il nome originario. Nell'Ottocento la chiamavano ormai Villa del Vascello e si era smarrito ogni ricordo del legame con l'architettrice e con Benedetti. Nel corso dell'assedio dei francesi alla Repubblica romana nel 1849, al Vascello si asserragliarono i difensori, giovani volontari venuti da tutta Italia. Il Vascello diventò il simbolo della Resistenza del sogno rivoluzionario, di democrazia e libertà. I francesi lo distrussero a cannonate, un piano dopo l'altro. Alla fine, rimasero un muro e una montagna di macerie. Mi sono chiesta cosa sarebbe accaduto se la Repubblica romana avesse vinto. Come quello di Plautilla, fu un sogno, ma avrebbe cambiato la storia. Nel romanzo, proprio per la forza simbolica di quell'edificio, ho unito la storia della costruzione della villa e la sua distruzione».

Anche la chiesa romana di San Luigi dei Francesi, nota per Caravaggio, ospita una cappella Bricci, ma pochi lo sanno. Quanto della scarsa notorietà della cappella di Plautilla dipende dal fatto che l'architettrice sia una donna?

«Ogni romano (e ogni turista) è entrato almeno una volta nella chiesa di san Luigi. E tutti sono passati davanti alla cappella di Plautilla senza vederla. Eppure è una degnissima cappella barocca, che non sfigura tra quelle di Bernini e degli altri architetti di fine Seicento. Una forma di cecità così singolare che mi ha spinto a interrogarmi sulla vera ragione di questa visione selettiva'. Non ho una vera risposta. Credo che fino a poco tempo fa i visitatori non fossero pronti ad assimilare un'informazione così nuova. Avrebbero dovuto constatare il semplice fatto che fin dal 1670 una donna fosse in grado di fare una cosa simile: e poi accettarlo. Questo sfida i pregiudizi, le idee ricevute, modifica le prospettive. Interroga, insomma. E allora è meglio dimenticare l'informazione e lasciare tutto come prima».

A questo proposito, lei che ha anche lavorato alla Treccani e ha trovato tracce di questa figura tra i lemmi, ha raccontato che c'è una forte differenza anche lì tra le tante voci' femminili mancanti rispetto alla stragrande maggioranza di lemmi maschili. La grande Storia andrebbe riscritta in questo senso, è d'accordo?

«Proprio per le ragioni di cui sopra, credo che sia fondamentale ricostruire una memoria più completa della cultura passata. Della letteratura, dell'arte, delle professioni. Migliaia di donne hanno scritto, dipinto, pensato, studiato scienze e matematica nei secoli scorsi. Sono state osteggiate ma talvolta accettate, e perfino celebrate, però sempre e solo come prodigi, casi rari e quasi miracolosi. E poi subito dimenticate. Ognuna ha dovuto così ricominciare daccapo e non ha potuto giovarsi dei risultati di coloro che l'avevano preceduta. Basti pensare che in Italia la prima donna laureata in architettura dovette attendere il 1925. Tramandare la memoria di queste artiste, letterate, scienziate, è fondamentale per poter immaginare un mondo diverso per tutti noi».
 
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