Archetipi gastronomici in cucina con la Taranta

Titti Pece (foto di Marcello Moscara)
Titti Pece (foto di Marcello Moscara)
di Titti PECE
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Mercoledì 18 Agosto 2021, 05:00

La mia idea era di fare un libro divertente, ironico, con quel tipo di humour che pure ti fa riflettere e ti fa prendere le cose sul serio. Nel gran parlare di cibo che si fa oggi ho cercato parole e punti di vista nuovi e ‘diversi’. E ho cominciato da una domanda: in un mondo globalizzato e interconnesso il nostro palato storico sta cambiando, che fine faranno dunque le buone cucine di tradizione, così ricche di cultura e di memorie? Sapremo ancora desiderarle e assaporarle? 

Con in testa il chiodo fisso di queste e di un’altra domanda - e poi a cosa servono le ricette? - ho cominciato a mettere insieme i miei appunti e le mie ricerche: frutto anche del lavoro fatto alla direzione del Quoquo Museo vivente del Gusto e frutto anche del mio interesse di ‘storico’ con un occhio prestato all’antropologia. 
Così mi sono rimessa a scrivere e son venute fuori, quasi naturalmente dalla mia penna (in realtà il mouse) piccole storie che subito vedevo legarsi alle ricette, come se nascessero da esse, come se io le avessi già dentro. Il gioco ha cominciato a divertirmi e sono nate le mie “gastrocomiche”: ricette e storie e note di degustazione, più sentimentali che palatali, che ho trascritto nella prima parte di questo libro. Che non a caso ho chiamato “Che fai, mangi?”, per dire della consapevolezza che noi abbiamo delle cose che nella vita ci creano ‘sapore’.

Un libro... dolce, amaro, piccante

Con questa premessa vorrei farvi entrare nelle pagine del mio libro, che se ne va avanti tra il dolce, l’amaro e il piccante. Ci verseremo forse su qualche lacrima (non solo a causa delle cipolle) ma non ci mancherà l’ironia con qualche risata. Come qui, per esempio, in questa storia che ci dice di “Una difficile inchiesta per Pepe Carvalho” e dove la ricetta legata alla storia è di un “Baccalà dolceforte” ritrovata in un vecchio quadernetto di cucina scritto in punta di penna forse sul finire degli anni ’40. Quanto a Pepe Carvalho, si tratta come sapete, del famoso investigatore creato dalla penna dello scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, autore tra l’altro delle “Riflessioni di Robinson davanti a 120 baccalà”. Autore anche della citazione riportata, a mo’ di nota di degustazione, sul fondo della pagina nella rubrichetta Pizzicata/Sentiment (“E tutti noi ci vietiamo ogni tanto quel che vorremmo permetterci”). Tanti ‘personaggi’ abitano dunque questo libro di ricette. Come qui, dove ora incontriamo appunto il nostro Pepe Carvalho. Per vostro gusto vi trascrivo la storia.

- Non ho capito perché i baccalà devono essere per forza centoventi.

- Perché uno cerca cerca cerca e poi succede che una volta arrivato al centoventunesimo si trova nel piatto il baccalà dolceforte e là si ferma per mantenere segreta la ricetta.

La ricetta fu poi ritrovata nell’archivio di un tribunale di un paese del Sud in un fascicolo intitolato “Delitti commessi e rimasti impuniti nel 1923”.

Per Pepe Carvalho rimase un mistero. Il caso passò poi al Commissario Montalbano il quale rivelò che la bella Esmeralda non di spada se n’era andata bensì sol di piacere alla fine crepò.

Ricette tra storia, tradizione, letteratura

Voglio dirvi ancora come è fatto questo mio libro: una selezione di ricette raccolte ora da fonti storiche e letterarie, ora da fonti orali e scritte della tradizione. Ad ogni ricetta si ispira la storia che dà nome alla pagina. E questa storia si nutre di esperienze culturali (libri letti e amati, film, incontri), riferimenti storici e talora ricordi personali e piccole leggende dei luoghi. Ci troverete utili informazioni, curiosità, riflessioni, che aggiungeranno altri sapori alla ricetta.

Che così, nelle mie intenzioni, si condisce di emozioni, sensazioni e sentimenti in cui riconoscersi, ogni lettore con la propria ‘esperienza’. Sono stata anche molto attenta al puntuale riporto delle fonti. E ho inteso mantenere un tono leggero e divertito di scrittura senza trascurare la precisione del dato storico.

Le parole in cucina e il cuore che sta da qualche altra parte. Dopo “le gastrocomiche”, nella seconda parte di questo mio libro “Che fai, mangi’ ho voluto condurre il lettore nel cuore della Cucina della Taranta: con una ricerca, attraverso una accurata selezione di ricette, degli “archetipi in cucina tra modi di dire e modi di fare”. Per scoprire alla fine tutto il ‘femminile’ di una cucina matriarcale di tradizione. E così procedendo tra il dolce, l’amaro e il piccante, ci imbattiamo alla fine in una ricetta preziosissima, che ho raccolto dalla viva voce di un vecchio pasticciere di città, a Lecce: è la pasta di mandorle con faldacchiera, proprio quella che una volta in Puglia le suore preparavano nei conventi. È proprio vero, come potrete leggere qui: “La vita è un sogno ed è fatta di pasta di mandorle”. 

E se ora mi chiedete cosa ho voluto dire con questo libro, posso ancora dirvi che a metterci lo zampino sono un po’ stati all’inizio proprio due grandissimi chef, Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse. “Le ricette esistono, perché continuamente inventarne altre? …abbiamo bisogno di cuochi non di artisti…” (G.Marchesi: in un’intervista di Alessandra Menzani). E poi A.Ducasse, in una vecchia intervista su Repubblica (agosto del 2000): “Certo, si può sempre mettere dell’olio di oliva o un po’ di basilico in una salsa alla crema. Ma in questo modo si compie semplicemente un gesto (…). Non è appropriandosi dei suoi prodotti di base che si fa una cucina mediterranea. Bisogna anche scoprirne lo spirito. Il quale risiede nella semplicità di una tradizione matriarcale”.

Un po’ anche da queste riflessioni è nato questo libro che mi piacerebbe servisse a farci riscoprire la nostra mappa emozionale dei sapori, diversa e unica per ognuno di noi.

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