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LECCE

Il castello di Lecce e la storia prima di Carlo V: l'opera di Arthur, Betere e Tinelli

di Claudia PRESICCE
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 25 Gennaio 2023, 05:00 | 4 Minuti di Lettura

Un castello ha sempre una lunga storia da raccontare, e quello di Lecce ne ha tante. L’idea geniale di chi lo ha studiato sino al suo ventre archeologico, come Paul Arthur archeologo Unisalento, sarebbe di vedere mille anni di storia del castello leccese, detto di Carlo V, raccontati in un museo nelle sue stesse sale, con i reperti che ricostruiscono le varie epoche. Intanto è nata una grande opera in due volumi, “Il Castello di Lecce. Fortezza della Puglia meridionale” (edizioni All’Insegna del Giglio; ), curata dai professori Paul Arthur e Benedetto Vetere e dalla ricercatrice Marisa Tinelli: sarà presentata questa mattina nella giornata inaugurale della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici “Dino Amesteanu” al Rettorato a Lecce.

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«Il libro ricostruisce la storia e l’archeologia del castello – spiega Arthur – mettendo insieme le fonti scritte e quelle materiali per tracciare un quadro dalla sua fondazione in età normanna fino ai tempi recenti. C’è un resoconto degli scavi di quasi venti anni di lavoro che abbiamo realizzato come Università, in collaborazione con la Sovrintendenza e il Comune di Lecce, e anche una testimonianza dettagliata di una parte dei ritrovamenti provenienti dagli scavi fatti alla Torre Mozza di ceramiche, monete, ossa di animali, archeo botanica, ecc. Tanti altri dovranno essere pubblicati in futuro». 
 

Non tutti sanno che il Castello nasce normanno e che Carlo V che oggi gli dà il nome arrivò diversi secoli dopo. 
«Nasce certamente in età normanna, probabilmente durante il regno di re Ruggiero II, quindi a metà del XII secolo. Sorge sulla linea delle mura antiche, ma in uno spazio che dagli scavi risulta essere zona agricola, con tracce di sepolture di età ellenistica probabilmente al di fuori dell’ambiente urbano. È il momento in cui Ruggiero II compie varie azioni per consolidare il potere normanno nel Mezzogiorno e infatti anche il Castello di Taranto è stato datato nello stesso periodo, come per un unico progetto. Successivamente il castello di Lecce si sviluppa nel tempo: ci sono vari interventi attribuibili all’epoca di Federico II di Svevia, poi all’età Angioina, con Maria d’Enghien e il principe Giovanni Antonio Orsini del Balzo. Ma il più grande lavoro arriva nel Cinquecento con l’imperatore Carlo V che porta alla ristrutturazione delle vecchie fabbriche, all’ingrandimento e ad una nuova cinta muraria, con i quattro bastioni che oggi conosciamo. Per questo lo chiamiamo castello di Carlo V, ma nel titolo del libro parliamo di castello di Lecce, perché aveva già almeno quattrocento anni di storia prima dell’arrivo dell’imperatore». 
Nel corso della storia è cambiato anche l’utilizzo del castello, da sede politica a fortezza? 
«Con Carlo V l’edificazione faceva parte di un progetto di fortificazione di tutta la città, com’è emerso anche negli scavi che ho condotto sulle mura di Lecce risalenti a quel tempo. C’era il pericolo dei turchi che produsse un’attività difensiva frenetica diffusa: dopo Costantinopoli erano arrivati dai Balcani alla Grecia e fino a Vienna, fino al famoso 1480 ad Otranto. Con il fondato timore dell’espansione dell’impero ottomano quindi si intervenne sul castello, sulle mura ed in tante altre strutture del territorio pugliese e dell’Italia meridionale: pensiamo alle torri costiere, alle masserie fortificate ecc». 
 

E c’è anche Acaya... 
«Certamente, Giangiacomo dell’Acaia era anche coinvolto come architetto militare nella pianificazione delle mura del nuovo castello di Lecce. L’uso del castello nel tempo cambia quindi, dal maniero che domina la città di Lecce diventerà un baluardo contro l’espansionismo turco. E resterà un presidio militare fino a tempi recenti, anche durante la Seconda Guerra Mondiale venne attrezzato a rifugio nel caso di attacco alla città. Abbiamo trovato negli scavi residui bellici di epoca fascista, da brandine per feriti a munizioni, targhette di soldati, ampolle di medicinali e tanti reperti che andrebbero valorizzati in un museo che racconti i primi mille anni di storia del castello. La storia di quel monumento racconta la storia della città e con questi volumi vogliamo aiutare a capire che il castello è più ricco di storia di quanto si pensi, e che la storia normanna ha ancora tanto da dire. La ricerca deve continuare così».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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