La speleologia salvifica di Solito, novello Dante

La speleologia salvifica di Solito, novello Dante
di Claudia PRESICCE
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Venerdì 1 Aprile 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 07:12

“Occorreva perdere come insegnano i Maestri e smarrirmi per ricominciare daccapo e tornare all’asilo del mondo, all’acqua, alla pietra, al buio. Sarei dovuto tornare a nascere altre volte – mille o forse più – per odiare l’afa, non sopportare le cicale, provare il ballo di San Vito, amare donne, amare l’hard rock, amare il vino…”. Ricominciare da nuove scoperte. È questo il tappeto sonoro su cui scorre lento un articolato singolarissimo libro, che segue il filo della scoperta: quella di se stessi contemporaneamente a quella dei mondi sotterranei tra voragini e grotte. L’autore infatti, oltre che fotografo, giornalista, regista di Grottaglie, è anche appassionato di speleologia, e dalle grotte di Puglia dei luoghi natii è approdato a quelle irpine e di tanti altri luoghi del mondo. Ecco “Troppa notte intorno a me”, il romanzo di Carlos Solito che verrà presentato a Lecce domani nel prolungamento di uno dei luoghi che hanno ispirato la storia, il Bistrot di Palazzo Sant’Anna, in via Basseo 30 alle 18.30; condurrà Sonia Cataldo. Il libro infatti, nutrito di ricerca interiore e di spazi silenziosi, ha trovato linfa tra le stanze del Palazzo Sant’Anna di Beatrice Baldisser che nei soggiorni leccesi hanno ospitato l’autore grottagliese.

Il paesaggio ha un peso specifico nella storia, un sapore antropomorfo accompagna il viaggio del protagonista di nome Dante, 35enne milanese, che dopo la perdita del figlio, ritorna al suo paese in Irpinia, ricominciando dall’amore per le grotte e il sottosuolo. Alla fine di ogni capitolo le illustrazioni di Francalaura Rella e Maria Stefani restituiscono al volume il gusto dei libri di Giulio Verne cari all’autore.

Solito, cominciamo dall’inizio: com’è nata l’idea del romanzo?

«Da una trasposizione artistica delle mie inquietudini. Essendo stato scritto durante il lockdown, è diventato una sorta di evasione in un momento che richiedeva una trasformazione che non si poteva compiere all’esterno. Allora è successo con la mente, e la mia mutazione emotiva è diventata un dato creativo legato alla letteratura. È come un bruco che diventa farfalla, o viceversa come si preferisce. La storia è arrivata in una notte invernale di febbraio quando davanti a un’enorme Luna ho immaginato il cielo come una grande caverna che conteneva tutta l’umanità. L’ingresso della Luna mi è parso come l’uscita da un grande tunnel e mi sono chiesto: come possiamo uscire dalla ‘troppa’ notte che abbiamo intorno? Ho raccolto la mia inquietudine impastandola con letteratura e l’altro mio grande amore, la speleologia. Vengo da Grottaglie e dalle mie parti è facile che nasca l’amore per il mondo sotterraneo».

L’idea di fondo riprende un viaggio interiore che vuole evocare il viaggio di Dante...

«Sì, perché scrivevo mentre arrivava l’anno dantesco, e ho immaginato di raccontare un viaggio in questa caverna buia intrisa di dolore, com’era in quel momento la pandemia per l’umanità.

Ho inserito nella trama il dolore, il più forte per un genitore che è la perdita di un figlio, perché l’umanità in quei giorni perdeva i suoi figli. Dante, il protagonista, è quindi un padre che soffre, e incontra Virgilio, l’uomo che lo accompagnerà verso un’esplorazione del dolore. Il dolore appartiene all’esistenza e cementa la nostra forza».

È ambientato in Irpinia, e da subito compaiono strani personaggi.

«Sì, si svolge nelle zone del Monte Amato dove realmente io, salentino, amo ritirarmi. E tra quelle montagne vivevano davvero quei protagonisti, un po’ i matti del villaggio. Ma quella follia per me è qualcosa di straordinario, ti fa vedere le cose per come sono, senza lenti correttive. Quei reietti ci sono anche nei nostri piccoli borghi in Puglia, animano le società, creano racconti anche tra chi non avrebbe niente da dire».

E poi ci sono le grotte, anche due pugliesi, Castellana e Zinzulusa. Da dove arriva quest’amore?

«Sono cresciuto negli anni Novanta tra esplorazioni degli interstizi della Murgia, con gli amici ci infilavamo in cunicoli e in ogni grotta possibile per esplorare il coraggio e i sensi. Nella gravina del Fullonese accanto a Grottaglie ho imparato a dialogare col buio, e non ho mai smesso tra voragini, abissi, caverne enormi. La Puglia ne è piena dal Gargano al Salento, dagli abissi dell’Alta Murgia allo spettacolo di Castellana scolpita dall’acqua in 90 milioni di anni, ma sono davvero tante fino a Monopoli con la grava di Santa Lucia inabissata nei pozzi, e la grava Rotolo la più profonda della Puglia, o a Fasano nella grava degli Appestati dove abbiamo rinvenuto resti umani, Ostuni è bianca sopra e nera sotto per le sconfinate gallerie e nel Salento la più iconica è Zinzulusa, ma tra voragini e caverne sono centinaia fino alle grotte cipolliane del Ciolo. Mi piace entrare dove nessuno mai ha messo piede e contattare l’anima vera del pianeta. Ogni metro percorso sottoterra mi restituisce parte del mio inconscio».

Il silenzio è un compagno di viaggio, qui protagonista con il buio.

«Nel silenzio e nel buio di una grotta per cercare l’uscita devi usare il corpo, il tatto: nell’assenza di punti di riferimento devi dare il massimo di te stesso. La dimensione solitaria è forgiante per lo spirito».

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