Visti da (molto) vicino/ Giampiero Esposito
Il cardiochirurgo a cuore aperto

Il dottor Giampiero Esposito
Il dottor Giampiero Esposito
di Rosario TORNESELLO
8 Minuti di Lettura
Domenica 25 Maggio 2014, 18:50 - Ultimo aggiornamento: 1 Giugno, 20:09
Dirlo come si conviene; cos si dovrebbe. E quindi... O raccontarlo con la massima sincerit; sarebbe opportuno. E perci... Direttamente, senza inciampi. Non che la parola difetti, sarebbe disastroso. Però il punto è questo: altrove sarebbe facile dirlo come si conviene, raccontarlo come si dovrebbe, quasi scontato, anzi talmente ovvio... Ma sia. Però qui (no, dico: qui) sarebbe davvero troppo. Parlare a cuore aperto, ecco, o peggio col cuore in mano. Di un cardiochirurgo, poi. Troppo. Pazienza: proviamoci lo stesso. Giampiero Esposito.



Che poi, cardiochirurgo... Mediano! La professione, la passione, la dedizione: metafore. La vita è sempre la trasposizione pratica di un ruolo tattico, di una visione di gioco, di uno schema mandato a mente. E lui è un tipo così. Con dei compiti precisi, a coprire certe zone, a giocare generosi. Lì, sempre lì, lì nel mezzo. Finché ce n'hai, stai lì. Ma lavorare sui polmoni? Oddio, polmoni: sempre lì stiamo, lì nel mezzo, ma mezzo inteso come cuore. Però mediano, ecco, mediano sì. È nato come oggi, il 25 maggio, 56 anni fa. Per lui gran periodo di feste: il 2 giugno a Lecce sarà nominato Cavaliere della Repubblica. Se non si fosse già dato fondo, con Ligabue, a fiato e jukebox si potrebbe pensare all'happy birthday. Ma basta il pensiero. Il resto inutili orpelli. Dritto al cuore. Appunto. Una vita da mediano, lavorando come Oriali, anni di fatica e botte e vinci casomai i mondiali. Sempre lì. Al centro del campo, requisito primo di ogni scelta. Se c'è, purché in un raggio d'azione abbordabile, si può anche parlare d’altro. E cioè di una cosa: il lavoro. Fluidificare il gioco è fluidificare la vita. Mettere e rimettere in circolo, ti pare?



Di corsa, comunque. La prima immagine è stampata a fuoco. L’imprinting del destino lo capisci dai dettagli. «Giampiero era e resta il ragazzo in sella al “Corsarino”, lo scooter 50 dei nostri tempi sbarazzini. La foto è quella: Moto Morini, pantaloncini e scarpette da calcio». Flavio Cimmino, un anno più giovane, leccese come lui, avvocato, è il compagno d’avventura. Si sono conosciuti ragazzini. Il primo Classico al Virgilio; il secondo Classico al Palmieri. L’uno interista; l’altro milanista. Che mica la vita segue percorsi lineari. Un amico in comune, però, e un campo di calcio a metà strada tra le loro case, zona San Cesario da una parte e Leuca dall’altra. Quando andava bene si giocava di lusso al “Bisanti”. Altrimenti c’era lo sterrato dei “gelsi”, campetto volante, lato ferrovia. L’estate a Porto Cesareo, puntuale, immancabile, regalava altre distese, diverse emozioni: al tramonto la partita era sulla sabbia. Caviglie e tibie ad alto rischio, per non dire dei bagnanti lenti a sgomberare il rettangolo improvvisato di gioco, infradito a far le porte. Alternativa preferita: lo sci nautico. «Bravo, con la testa sulle spalle. Ma secchione non me lo ricordo proprio. Calciatore sì. Non che sia arrivato chissà a quali livelli, al più credo in Terza divisione, a San Donato. Ma non importa: lui doveva correre, solo questo. Davanti al libero. Mediano. Alla Oriali». Visto?



Ora corre un po’ meno. In compenso fa girare la palla. Il singolare è finezza, la postilla molto meno. L’anagrafe comporta cambi di passo. Lo spunto della punta e il genio del 10 sono evoluzioni del genere. Ci sono fuoriclasse che hanno arretrato o avanzato il baricentro per compensare l’età. Lui l’ha avanzato. S’è laureato a Firenze, specializzato a Bologna; ha lavorato a Teramo, ha fatto il giro del mondo per acquisire pratiche e apprendere tecniche. Londra, Berlino, Manchester. È tornato a Lecce, ha segnato numeri da record; è passato da Bari, rientrato nel Salento e poi via, a Bergamo, Cliniche Gavazzeni, campi di calcio nelle vicinanze. Ovvio. Ci è andato sbattendo la porta (“A Lecce i pazienti non sono la priorità”) e appendendo il destino della sanità, più che della medicina, ai princìpi di sir John Burdon Sanderson Haldane, roba che bisogna avere del tempo solo per leggerne nome, cognome e titolo. Comunque: “Mescolare politica e scienza è la ricetta del disastro”. Che avrà voluto dire?



«Giampiero ha avuto il suo momento di svolta all’Università – ricorda l’amico avvocato -. Lì ha assunto fino in fondo il ruolo di studente con impegno, serietà e grande forza di volontà. Anche dodici ore di studio consecutive. E non c’era partita o finale di Coppa che potesse distrarlo. Era in casa con un altro nostro amico, mio compagno di classe dall’asilo alla terza liceo, Maurizio Congedo, dermatologo. Io ero a Bari, qualche volta andavo a trovarli. Anni di grande praticità: cuscini del divano a terra per farne un letto, all’occorrenza. Mai persi d’animo, noi. Come quando ci capitò di andare in Abruzzo a Rivisondoli, prima di Natale, con la sua auto. Una bufera di neve che era già buio, le catene montate in gruppo perché nessuno voleva scendere e poi l’arrivo a destinazione, una quindicina di noi in una casa che doveva essere per pochi. C’è chi ha dormito in auto, nel garage, al freddo. Ma vuoi mettere il divertimento?». Già, vuoi mettere?



Da giovanotto era il garante della comitiva. Così a modo, così per bene, così compito. “Se c’è Giampiero allora potete uscire”, concedevano le mamme delle amiche. S’è sposato due volte. Due figli dal primo matrimonio, Edoardo ed Eugenia, più un terzo di fatto, Andrea, figlio di Linda, l’attuale moglie, in casa con lui da quando aveva 7 anni (e ora ne ha 20). Un’idea della sanità a totale servizio del paziente. “Donchisciottesca” la definisce Flavio. Che subito puntualizza: «La più grande peculiarità di Giampiero è stata ed è la generosità. E in quest’ottica era tornato a Lecce: avrebbe voluto aiutare i suoi concittadini, contribuire alla crescita del territorio. Aveva grande entusiasmo, moltissima voglia di fare. Non si è risparmiato mai, come sanno tutte le persone che lo hanno incrociato. Il lavoro ha sottratto molto alla sua vita privata. Poi ha capito a sue spese che le cose non sarebbero andate come lui sperava, come avrebbe voluto. Non erano più gli anni di Teramo, dei primi interventi in sala chirurgica. “Apro e chiudo”, diceva quando veniva in vacanza: come tutti gli “apprendisti”, operava all’inizio e alla fine». Il cuore - lì nel mezzo - era del maestro. E maestro a lui è toccato esserlo poco dopo. A Lecce migliaia di casi e un indice di mortalità tra i più bassi d’Italia: 2,1 per cento. Con il sovrappiù di un paradosso: l’accusa piovutagli addosso di agire anche in circostanze disperate, macroscopica contraddizione in termini. “Prendo in carico anche i pazienti mandati via dagli altri ospedali, vero. Ma faccio un lavoro troppo delicato per consentire a chicchessia di insinuare il pur minimo dubbio sulla mia attività”. Non erano solo i numeri a dargli ragione, ma anche la comunità scientifica. La sua tecnica d’impianto di una protesi per le patologia dell’aorta toracica e toracico-addominale aveva conquistato mezzo mondo: “Lupiae” l’aveva chiamata, omaggio alla sua città. Da allora gira il mondo per spiegare modalità esecutive e risultati dopo dieci anni di applicazioni. L’ultima volta a New York e Toronto, poco meno di un mese fa. Invitato come “world renowned faculty”. Docente di fama mondiale. Basta?



«Giampiero è questo - aggiunge il suo amico -: grande umiltà, nessun attaccamento al denaro. È stato sempre molto oculato. Con un’estrema semplicità di valori: per lui una serata con gli amici vale molto più di cento galà. Si chiacchiera, si scherza, si mangia. Si ricordano i vecchi tempi, si progetta il futuro. I gruppi di potere, le lobbies, le cordate politiche non sa proprio cosa siano. I suoi principi sono questi. Autentici come la pasta fatta in casa e le polpette, che non possono mai mancare la domenica a pranzo. O come la verdura, che sua madre cucina e che lui puntualmente porta a Bergamo quando riparte per una nuova settimana di lavoro». Il padre lo ha perso anni fa. Stroncato a Milano da un malore. Problemi di cuore. Don Gino Esposito era titolare di un’impresa edile, molto conosciuto in città come costruttore e azionista del Lecce calcio nell’era Iurlano. Soprattutto, presidente dei giallorossi dal 1961 al 1963 in serie C. Per i risultati, quasi serie B. Il senso di Giampiero per il calcio deve discendere da lì. Ora per giocare gioca, ma il calcio come fenomeno lo appassiona meno. Per il resto, footing e passeggiate e molta attenzione all’alimentazione, senza sforare nell’estremismo. Gli stravizi, al più, si compensano. «Come una volta in Basilicata. Avevamo mangiato e bevuto di tutto e di più. Lui alla fine, imperterrito, indossò le scarpe da ginnastica e via, mezzora di strada in salita». La costanza, altra dote. E la cardiochirurgia?



«Ho letto in un’intervista i ricordi di sua madre. Raccontava di Giampiero bambino abile nel ricucire con ago e filo i pupazzetti rotti. Chissà. Io, per dirla tutta, l’ho sempre visto poco propenso a industriarsi con i lavori manuali. Sotto questo aspetto, un’autentica sorpresa». Resta un capitolo, il più doloroso. Flavio ci scherza su. Il dramma è abbondantemente alle spalle. «Giampiero ha un debito con me», dice. Era il pomeriggio del 23 maggio 2007. Storia nota. Giampiero stava per uscire dalla clinica Città di Lecce; il Milan stava per scendere in campo nella finale di Champions contro il Liverpool ad Atene; Flavio stava per andare a cena da amici, il match sul maxi-schermo. Fu un attimo: un uomo armato di cacciavite si avventò sul medico, ferendolo alla testa. Una lesione profonda, gravissima. Un soffio dalla morte. «Un calvario. Eravamo tutti in ospedale. Lui ne è uscito con grande forza e determinazione. Ha recuperato ed è andato oltre. Grazie soprattutto al sostegno di Linda. Poi un giorno citofona al mio studio. Era la prima volta che usciva da casa. Ed era venuto a trovarmi. Non lo dimenticherò mai. Tuttavia resta in debito con me per la finale che non ho visto». Flavio ha perso la partita. Giampiero ha vinto la sua battaglia. Il Milan ha trionfato in Coppa, l’ultima volta e da allora mai più. Alla fine vuoi vedere che il problema è proprio questo?

















Visti da (molto) vicino: 29esima puntata.

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