Capanna, la lezione ancora viva dell’eterno Sessantotto

Capanna, la lezione ancora viva dell’eterno Sessantotto
di Claudia PRESICCE
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Lunedì 11 Settembre 2017, 19:38 - Ultimo aggiornamento: 19:45
«È stato il più grande fenomeno di trasformazione culturale a livello mondiale della storia: il ’68 dopo 50anni ha ancora molto da insegnare e ha l’occasione di dimostrare quanto aveva ragione su tutto. Io guardo con attenzione ai giovani di oggi, soprattutto del Sud: sono certo che ci sorprenderanno»: parola di Mario Capanna.
Nel 2018 il movimento del ’68 festeggerà 50anni, e la festa in Italia comincia a Lecce. Capanna, uno degli studenti che nella Milano degli anni Sessanta inventarono il Movimento studentesco, e poi ne divenne un leader, sarà a Lecce oggi alla libreria Feltrinelli ad aprire il cinquantennale del ‘68. “Formidabili quegli anni? Aspettando” è il titolo dell’incontro che darà il via, partendo dal Sud, al primo dibattito aperto di questo anniversario su ciò che resta di quella stagione, ma anche e soprattutto su come, cinquanta anni dopo, molte cose siano tornate indietro, al punto di partenza dove sono indietreggiati quegli ideali. Viene da chiedersi dov’è quel futuro inseguito dai ragazzi del ’68. In parte è ancora qui e va detto: è nelle classi scolastiche e universitarie in cui i ragazzi dialogano con i professori senza il distacco di “casta” che c’era prima, c’è nell’iscrizione per tutti alle università, c’è nelle conquiste femminili, nei diritti di famiglia e dei lavoratori. C’è laddove non è arrivata ancora l’onda lunga conservatrice che cerca di cancellare l’articolo 18, impone numeri chiusi nelle università ecc.
Ma in quale vento è finita l’energia che ha spinto un’intera generazione del mondo a sovvertire l’ordine costituito? E oggi l’indignazione di tanti giovani disoccupati, di precari e sfruttati dell’ultim’ora, dopo 50 anni da quella lezione della Storia che ha insegnato che le cose si possono cambiare partendo da una rivoluzione culturale, potrebbe diventare detonatore di sorprese?
Capanna, cominciamo dalla Storia: raccontiamo il ’68 ai Millennials, a chi è nato nel 2000 e non ha idea di quello che avvenne quell’anno?
«Quando si racconta il ’68 si deve intendere che si parla del più grande fenomeno planetario di trasformazione che mai si sia visto nella storia. Con lingue diverse, ma con accenti simili, in ogni parte del mondo nel 1968 si sono sollevati giovani e grandi masse umane rivendicando giustizia, libertà, padronanza di sé, autodeterminazione. Questo avvenne sotto ogni cielo riuscendo a modificare il modo di pensare di milioni e milioni di persone. Da allora il mondo non è stato più come prima nella percezione degli individui e delle coscienze. In Italia in particolare il ‘68 è durato più a lungo, grazie alla capacità del Movimento studentesco di riunire le proprie forze a quelle del Movimento operaio e sindacale, dando vita alle grandi lotte dell’autunno caldo del 1969. Ma ai Millennials vorrei fare un esempio concreto. Se oggi tutti possono iscriversi all’università è perché noi ottenemmo nel ’69 la cosiddetta “liberalizzazione degli accessi delle università”. Prima solo chi arrivava dal liceo classico e scientifico poteva avere accesso alle università: grazie a questa storica vittoria si sono laureati diplomati al magistrale, istituti tecnici ecc. È stato un passo significativo importante per la realizzazione del diritto allo studio che è nella nostra Costituzione. Oggi con il numero chiuso si vuole tornare indietro, sarà difficile, ma le conquiste di civiltà vanno sempre rinvigorite perché si corre sempre il rischio di perderle».
Raccontiamo come mai questi studenti di Milano, tra cui lei, hanno cominciato questa protesta. Avevate contezza di quello che stavate facendo?
«Non fu un caso che gli studenti si siano sollevati per primi, perché vivevano molteplici contraddizioni. Sapevano che pur con un diploma o una laurea in tasca, il destino di molti era di restare disoccupati o con una occupazione dequalificata rispetto al titolo di studio, proprio come accade oggi. Altra contraddizione erano gli insegnamenti anche antiscientifici che impartivano le università, come il caso dei “baroni” universitari, i professori di allora, che cambiavano l’ordine dei capitoli dei libri senza aggiornarli facendo spendere soldi in più agli studenti. Erano inavvicinabili, non si poteva dialogarci: la lotta antiautoritaria del ’68 fu fondamentale in questo senso. Quei giovani hanno poi sentito il bisogno di mettersi insieme, ascoltare musica e vedere film: prima dominava l’isolamento che vuol dire impotenza, invece di colpo l’unione fece decuplicare le forze. Nel ’68 milioni di persone smisero di essere “idiote”: nel senso etimologico greco “idiota” è colui che si occupa dei fatti personali disinteressandosi delle vicende collettive. Si comprese allora che per migliorare la condizione di ognuno bisognava migliorare quella del mondo: fu questa una delle radicali novità del ‘68».
Molti detrattori oggi indicano quell’anno come violento, con delle vittime. Oppure dicono che sovvertire quel “rispetto” generazionale sia stato l’inizio della fine e del lassismo che oggi imperversa. Ma furono davvero “formidabili quegli anni”?
«Basta sfogliare le cronache dell’epoca per scoprire che il movimento del ’68 è sempre stato sostanzialmente pacifico e non violento, e non va confuso con il terrorismo degli anni successivi. Il ’68 non ha ucciso nessuno pur avendo vittime tra le sue fila. I morti della strage di Avola alla fine del ’68 in Italia, o la terribile repressione dei neri negli Stati Uniti, il tentativo di colpo di Stato di De Gaulle in Francia, i terribili massacri degli studenti a Città del Messico in vista delle Olimpiadi e in Brasile, e da noi la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre del ’69 a chiudere il biennio di lotte e trasformazioni: questa è la verità storica. Poi a 50 anni di distanza, mezzo secolo dopo, bisogna accorgersi che i poteri che in modo violento e sanguinoso fecero di tutto per contrastare il ’68 hanno spinto il mondo in direzione contraria ai nostri auspici».
Spieghiamo: dove hanno portato il mondo?
«Con la globalizzazione della prepotenza dei più forti hanno creato una sorta di precariato mondiale, di povertà, di mancanza di dignità di milioni di persone, da cui i fenomeni migratori. Hanno forzato il mondo verso quella che Papa Francesco ben definisce la “terza guerra mondiale a tappe”. Ci hanno fatto usare la tecnologia e le macchine non per aiutare i lavoratori, ma per liberarsene. E hanno portato l’Italia verso la più grossa crisi occupazionale d’Europa, e la politica ad una sorta di sterilizzazione della democrazia: ormai vince il leader di partito che dà l’immagine di sé più gradevole, a prescindere dai contenuti. La domanda allora è: scusate, chi aveva ragione? Voi che avete portato il mondo a questi disastri o noi? Noi dicevamo no alla guerra, diritto allo studio e alla conoscenza e quindi maggiori risorse nella scuola: voi avete investito il minimo nella scuola e il massimo negli armamenti. Credevamo al rispetto dell’ambiente e oggi siamo arrivati al problema dei cambiamenti climatici. Avevamo ragione noi a credere che bisognava costruire la convivenza tra culture e popoli diversi, o voi che avete portato la guerra anche con l’inganno come in Iraq per la presunta esistenza di armi mai esistite? Il ’68 nel suo cinquantennale nel 2018 non sarà sul banco degli imputati, ma siederà sul banco dell’accusa».
Vista così però sembra che si sia perso tutto, qualcosa resta.
«Un elenco corposo in Italia: diritto allo studio, diritto di famiglia che ha dato alle donne dignità perché giuridicamente parificate da allora (anche se molto c’è da fare), lo Statuto dei diritti dei lavoratori che, nonostante il governo Renzi abbia cercato di distruggere l’articolo 18, rimane la riforma sociale più grande per la difesa di milioni di lavoratori. È rimasto lo spirito critico e, nonostante la grande capacità di corruzione mediatica delle menti, nulla è più accettato solo perché lo dice un’autorità. Solo quando le idee camminano sulle gambe di milioni di persone si ottengono risultati durevoli nel tempo, questo è l’insegnamento principale del ’68. Se fosse un cadavere non staremmo ancora qui a parlarne».
Oggi che siamo in una fase che ricorda il punto di partenza di 50 anni fa, i giovani perché non sanno aggregarsi e cercare di cambiare le cose?
«Chi crede che siano tutti bolliti sbaglia, oggi come ieri ci sono giovani disimpegnati e non. Basti vedere in Italia la meravigliosa realtà del volontariato, laico e cattolico, che tiene culturalmente a galla il nostro paese. Tutti i meccanismi in cui ci muoviamo invitano a consumare e non pensare, e molti cadono nel buco nero. Ma la storia riserva svolte improvvise. Nel ’67 una ricerca sociologica sui giovani li descriveva abulici, apatici, dediti al consumismo. Dopo poche settimane scoppiò il ’68. Io credo molto nei giovani d’oggi e penso ci sorprenderanno».
 
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