Il bilancio del segretario uscente della Fnsi Lorusso: «Informazione ovunque ma la qualità è a rischio»

Il bilancio del segretario uscente della Fnsi Lorusso: «Informazione ovunque ma la qualità è a rischio»
di Adelmo GAETANI
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Lunedì 13 Febbraio 2023, 07:13 - Ultimo aggiornamento: 18:09

Dopo otto anni al vertice della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Raffaele Lorusso, giornalista pugliese nato a Conversano, 55 anni, si appresta a lasciare la carica di segretario generale, al termine dei due mandati consentiti dallo Statuto. Il cambio di guardia in occasione del 29° Congresso nazionale dell'organizzazione sindacale, in programma a Riccione da domani a giovedì.
 

Otto anni complicati, carichi di preoccupazioni e di profonde trasformazioni, segretario, come si evince anche dal tema congressuale: "Informazione è democrazia. La mediamorfosi e il lavoro giornalistico".
«È così. Quando nel 2015 sono stato chiamato a guidare la Fnsi, il settore dell'informazione già accusava gli effetti di una crisi, iniziata nella seconda metà del secolo scorso. Erano gli anni in cui il modello industriale intorno al quale si era strutturato il giornalismo professionale, incalzato dalla rivoluzione tecnologica, iniziava a perdere certezze e solidità. Una situazione andata accentuandosi con il passare del tempo. Oggi vediamo un mare in tempesta nel quale sono costretti a galleggiare i media tradizionali, soprattutto la carta stampata nonostante il suo approdo nell'online, ma un po' anche la vecchia televisione, in un contesto di sofferenza a fronte di una vera e propria infodemia».
Giornali sempre più in difficoltà mentre cresce la domanda di informazione: come lo spiega?
«È una contraddizione solo apparente. In realtà oggi l'informazione la si trova ovunque e si può consumare gratuitamente attraverso i vari device dai quali attingere. Nel 2007, quando Steve Jobs presentò l'iPhone, quel piccolo oggetto che connesso a Internet avrebbe avuto un grande impatto sulla nostra vita, in Italia giornalmente si vendevano 6 milioni di copie di quotidiani, oggi siamo intorno al milione anche se la caccia all'ultima notizia non si ferma neanche di notte».
Un circolo vizioso difficile da spezzare?
«Sì, per un motivo semplice: l'informazione professionale viene prodotta da chi la produceva prima, cioè dai giornalisti, solo che la vendita dei giornali è crollata mentre le notizie trovano canali di diffusione alternativi, ma non remunerativi. Questa situazione di crisi viene pagata da tutti i lavoratori del settore, a cominciare dai giornalisti. L'occupazione diminuisce e diventa sempre più instabile. Il lavoro con contratto a tempo indeterminato è ormai una chimera e il precariato la fa da padrone. Basti pensare che in Puglia, come altrove, vengono attivate iniziative editoriali nelle quali non ci sono rapporti di lavoro subordinato, solo contratti di collaborazione. Tutto questo diventa un problema per la qualità dell'informazione e di conseguenza per il sistema-Paese».
Il precariato sotto accusa?
«Certo. In Italia, a partire dalla metà degli anni Novanta, con la riforma del mercato del lavoro e la conseguente flessibilità, è aumentata la povertà dei lavoratori. Studi recenti di Bankitalia hanno confermato come il lavoro sia più povero, precario e discontinuo, eppure il tema è stato espulso dal dibattito politico. Quando poi il precariato si abbatte anche sul giornalismo professionale, deve necessariamente scattare un campanello d'allarme perché la buona informazione, in un contesto di pluralismo, è uno dei presidi irrinunciabili delle società democratiche. Se si rompono equilibri delicati che riguardano il vivere civile, le conseguenze le paghiamo tutti».
Allora, che fare?
«Viviamo un'emergenza che impone la difesa della corretta informazione dall'attività vorace dei grandi player multimediali che, con i sistemi tecnologici più sofisticati influenzano il dibattito politico e l'opinione pubblica di un Paese, come si è visto negli Stati Uniti nel 2016. Com'è possibile lasciare i cittadini in balia di piattaforme digitali, algoritmi, intelligenza artificiale, dentro un sistema incontrastato e carico di ombre, senza pensare che tutto ciò possa provocare enormi squilibri democratici? Tutte queste problematiche che condizionano il nostro presente e lo orientano verso scenari pericolosi sono assenti dal dibattito politico e pubblico in Italia, come se il problema non esistesse e come se l'informazione professionale, già indebolita dalla precarietà del lavoro, non fosse attaccata da più parti con l'obiettivo dichiarato, ma evidente, di schiacciarla in un angolo e renderla inoffensiva».
A che cosa si riferisce?
«Sono tante le criticità da fronteggiare, a partire dalle intimidazioni cui sono sistematicamente sottoposti i giornalisti. Pensi che 23 colleghi vivono sotto scorta per aver ricevuto minacce di morte. Poi ci sono le liti-temerarie, le querele-bavaglio, le richieste di risarcimenti milionari per intimorire e condizionare la libertà dei giornalisti. Ma il Parlamento non interviene anche se il problema è all'ordine del giorno da oltre 20 anni. Evidentemente esiste un fronte politico trasversale per il quale i giornalisti non devono dare più fastidio ai potere e ai potenti. Anche sul tema delle intercettazioni si riscontra lo stesso atteggiamento punitivo per condizionare la libera informazione».
L'Ordine dei Giornalisti ha compiuto 60 anni. La legge istituiva ha fatto il suo tempo, serve aggiornarla, e tocca al Parlamento decidere, ma come?
«Mi lasci dire che per come è strutturata la legge, non per responsabilità dei colleghi evidentemente, l'Ordine appare ed è un'istituzione anacronistica, come del resto tutti gli altri Ordini professionali, organizzazioni di cui l'Unione europea chiede da tempo il superamento».
L'Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) ha appena pubblicato il regolamento che obbliga i giganti del web, come Google, Facebook, Youtube, etc., a remunerare editori e giornalisti per le notizie in sostanza "rubate" e utilizzate sulle loro piattaforme. Un po' di luce nel buio della crisi?
«È un passo avanti, originato da una direttiva Ue, che in linea di principio dovrebbe portare risorse fresche nel sistema. Ma tutto deve concretizzarsi con trattative tra editori e "padroni" del web che sanno bene come difendere i loro interessi. Comunque va segnalata una novità significativa, anche se tutta da verificare negli effetti pratici. Ci vorrà ancora qualche tempo per capire bene».
Segretario, quale messaggio lancerà dalla tribuna del congresso Fnsi?
«Le mie saranno parole improntate a realismo.

Bisogna muoversi sulla strada del cambiamento, come la rivoluzione tecnologica impone, ma bisogna farlo in modo ordinato e soprattutto in un contesto di collaborazione con le Istituzioni e le Aziende editoriali perché non si può pensare di tenere dritta la barra democratica del Paese attraverso l'impoverimento qualitativo dell'informazione causato dal precariato, dalle basse remunerazioni e dall'uscita anticipata dei giornalisti dal mondo del lavoro. C'è bisogno di occupazione regolare, c'è bisogno che gli impegni annunciati diventino fatti concreti. Non è possibile che la presidente del Consiglio renda dichiarazioni pubbliche a sostegno della stampa e poi, dalla sua stessa parte politica, vengano avviate iniziative parlamentari sostanzialmente liberticide per i giornalisti. Chiediamo chiarezza e coerenza alle Istituzioni. Da parte sua, l'informazione professionale, che non è un algoritmo come alcuni vogliono far credere, deve rilanciare la sfida e ritrovare, nelle condizioni date e con la convinta adesione di tutti i giornalisti, la strada virtuosa per corrispondere al diritto dei cittadini ad essere correttamente informati, come vuole la Costituzione e come ha ribadito anche nei giorni scorsi il presidente della Repubblica Mattarella».

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