Intervista (impossibile) a Beethoven: «Oltre l'orrore, la potenza della musica»

Illustrazione di Giulia Tornesello
Illustrazione di Giulia Tornesello
di Stefano CRISTANTE
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Domenica 10 Dicembre 2017, 19:04
Intervistatore: Maestro, ci siamo dati appuntamento alle 14 per una passeggiata nel centro di Lecce. Come mai ha scelto quest’orario insolito?
Beethoven: Sono a Lecce da quasi una settimana. Ho notato che intorno a quest’ora i suoi abitanti si ritirano nelle case fin quasi alle 17. Le strade e le stradine sono per qualche tempo deserte, e i suoni urbani si attutiscono sin quasi a sparire. Si può dunque conversare nel modo migliore. A proposito: di cosa voleva parlarmi?
I: Lei è consapevole di portare uno dei nomi più celebri di ogni epoca?
B: Dalle vetrine di alcuni negozi del centro ho scorto alcune mie immagini su copertine di dischi. So che l’Inno alla gioia è diventato l’inno europeo. Il nome Beethoven non è “scordato” (detto con enfasi).
I: Un gioco di parole? Lei mi sorprende.
B: Mi hanno sempre dipinto come collerico e intrattabile. In realtà ero soprattutto impaziente e bisognoso di concentrazione prolungata, cioè di silenzio.
I: Il suo caratteraccio ha intimorito sovrani e aristocratici, si dice.
B: Non bisogna confondere le escandescenze con la mancanza di acquiescenza.
I: Mi spieghi.
B: Non ho mai conosciuto la deferenza. Ma il rispetto sì. L’arciduca cui dedicai un trio meritava la mia riconoscenza: fu ripagato della sua amicizia attraverso il titolo di un brano che – mi dicono – ancor oggi viene eseguito e ascoltato con piacere.
I: Veramente ci sono libri che riportano alcune sue lettere all’arciduca che definire “dileggio” non sarebbe espressione inappropriata. Ma mi preme chiederle un’altra cosa.
B: Dica.
I: In tutte le numerose biografie a lei dedicate si pone la questione del suo rapporto con il maggior militare e uomo di stato della sua epoca, Napoleone Bonaparte. Ha voglia di spiegarci?
B: Guardi, è presto detto. Come tanti altri miei connazionali e tanti altri spiriti liberi, mi sbagliai sul conto di Bonaparte. Da principio mi sembrò un titano del progresso, un Prometeo venuto per obbligare l’uomo dei Lumi a mantenere accesa la sua fiamma, anche dopo le tragedie della Rivoluzione francese. Poi si rivelò solo un moderno tiranno, un avido uomo di guerra e capace di spaventosi privilegi familiari.
I: Lei arrivò a correggere la dedica dell’Eroica pur di prendere le distanze dal suo slancio originario, che conteneva quasi una richiesta di pieno avvento di Napoleone.
B: Sì, feci così non per un raptus di collera ma per una meditata e pesante disillusione.
I: Non riesco a immaginarla collerico, forse la città barocca ha su di lei un effetto calmante.
B: Il barocco è stato a lungo rassicurante nella storia della musica. Le cattedrali di Vivaldi e Bach avevano un ingresso cortigiano e un’uscita quasi sovversiva. L’architetto abitava la propria cattedrale senza più celarsi dietro l’impianto sacro dell’opera. La liberazione dell’ingegno aveva bisogno di nuove costruzioni, ma prima c’era bisogno di esaltare i ceselli e moltiplicare i simboli, giungendo però a una perfezione stilistica talvolta fine a sé stessa.
I: E Mozart?
B: Nel 1787, i miei protettori fecero in modo che lo incontrassi per un’audizione. Lui aveva 31 anni. Io 16. Io ero al pianoforte, lui ascoltava. Disse una frase che i biografi hanno riportato: “Tenete d’occhio questo giovane, avrà qualcosa da raccontarvi”.
I: Sì, è un aneddoto conosciuto. Ma a lei che effetto faceva la musica di Mozart?
B: Un cortigiano sovversivo non è esattamente né l’una cosa né l’altra.
I: Cosa intende?
B: Intendo dire che la forzatura biografica del bambino-prodigio (d’altronde anch’io ne sono stato vittima durante la mia infanzia) di per sé poteva determinare una personalità conformista; invece Mozart alzò l’asticella del genio musicale a livelli stratosferici, ma praticando la leggerezza sublime, l’incendio momentaneo, verso un paradiso di armonie e di speranze.
I: Invece? Cosa mancava ancora?
B: Non mi permetterei mai di aggiungere o sottrarre una nota a Mozart. Ma il mio cuore pulsava con più tormento e più ardore del suo.
I: Parole antiche, maestro.
B: Sì, ha ragione, ma non trovo altro motto per significare le tracce lasciate nella storia della musica dai miei lavori. Se vogliamo mantenerci sulle metafore connesse al fuoco, credo di aver immaginato la musica come un rogo immenso, la cui struttura profonda è però intellegibile a coloro che non si accontentano delle emozioni.
I: Eppure certe sue ouverture sembrano concepite appositamente per produrre un’emozione immediata e coinvolgente in chi ascolta.
B: Scuotere. Il mio obiettivo iniziale era scuotere l’ascoltatore, quasi stremarlo. Per poi ricondurlo subitaneamente all’organizzazione di un suono razionale, in crescita costante di complessità e negazioni.
I: Che tipo di negazioni?
B: Negare l’ordine di chi impera senza merito e senza costrutto. La negazione della mancanza di libertà. Negare la pochezza dell’ambizione umana.
I: Sa che uno dei maggiori scrittori in lingua inglese del XX secolo, Anthony Burgess, profondo conoscitore della sua opera, ha destinato a lei un ruolo di primo piano nel suo romanzo più celebre? Si intitola Arancia meccanica, una storia che ha per protagonista un teppista del prossimo futuro, capo di una gang che si eccita con la musica del “Ludovico Van”. Ludovico Van sarebbe lei, Maestro.
B: Non mi dica. Dunque sarei un eccitatore di mostri.
I: Si potrebbe leggere il romanzo di Burgess come un’altissima elegia della sua opera, Maestro. In realtà la presenza di Beethoven nella vita mentale del teppista Alex è l’unica testimonianza della sua libertà di pensiero e della sua aspirazione alla bellezza. Alla fine la musica di Beethoven sarà persino più potente di un lavaggio del cervello. D’altronde si sa che lei è stato un titano.
B: Forse. Se lo sono stato, fu per una variante del celebre detto: Come un nano sulle spalle di giganti. Se sono stato un gigante, sono stato un gigante sulle spalle di giganti.
I: Mi è capitato di pensare, ascoltando in questi giorni parti della sua musica, a una filosofia in musica. L’architetto di cui si parlava poc’anzi a proposito del barocco con lei è diventato una guida spirituale e un istigatore al cambiamento culturale.
B: La ringrazio. Ora però mi faccia andare. Ho in testa un intreccio, non potrò che correre in albergo a scriverlo.
I: Spero di incontrarla in giro per la città il 16 dicembre.
B: E perché?
I: Lei è nato il 16 dicembre 1770. Compirà 247 anni, Maestro.
B: Mi dispiace, non la sento più. Corro. Scappo. Esplodo.




La nota a piè di pagina:
Ludwig Von Beethoven è stato uno dei maggiori compositori di ogni epoca. Nacque a Bonn il 16 dicembre 1770 e morì a Vienna il 26 marzo 1827. Da giovanissimo fu pianista prodigioso e incensato, ed ebbe tra i suoi insegnanti Haydn e Salieri. Si dedicò quindi alla composizione sinfonica e cameristica, con risultati che a tutt’oggi costituiscono un punto di riferimento e un apice della musica classica. Nelle sue opere, Beethoven esprime una poderosa presenza della propria filosofia e della propria interiorità. In questo modo prendono forma lavori di eccezionale risalto emotivo e di altrettanto paziente tessitura di una razionalità nuova e inattesa, qualcosa di persino diverso dalla filosofia illuminista e kantiana che l’aveva generata.

 
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