La cultura che svanisce con le bande di paese

La cultura che svanisce con le bande di paese
di Eraldo MARTUCCI
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Giovedì 19 Agosto 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 08:33

Salviamo le bande”: è questo da anni l’accorato appello che lancia pubblicamente Riccardo Muti, l’ultima volta due mesi fa al termine del concerto da lui diretto al Petruzzelli. Dove ha ricordato come le storiche bande del paese, ormai diventate “animali culturali” a rischio estinzione, operino in situazioni di grande difficoltà. E tra le centinaia di complessi una parte rilevante è costituita da quelli pugliesi, e si deve proprio al leggendario direttore la definizione della banda come colonna sonora della Puglia. 
«Io ho imparato la musica seguendo proprio le bande a Molfetta, soprattutto in occasione del Venerdì Santo», ha infatti sottolineato Muti in quell’occasione. Non a caso Pietro Mascagni parlava delle bande, che lui stesso dirigeva a Cerignola, come di “forma di arte spontanea e popolare”. E sono stati proprio i complessi bandistici, in particolare nel Sud Italia durante le feste patronali, a permettere la diffusione della musica dei grandi compositori facendola conoscere a quanti non potevano permettersi un biglietto di teatro. 

A questo mondo così affascinante, ma visto dalla personale esperienza dell’autore, è dedicato il libro “Zinnananà - Storie di bande e musicanti” scritto da Giuseppe Corvaglia, medico originario di Spongano, che vive ora in Liguria mantenendo però un forte legame con la propria terra. Ha infatti suonato nelle bande e ha fatto parte di gruppi di musica popolare come il Gruppo di Ricerca e Sperimentazione, il Canzoniere Grecanico Salentino e Terra Tumara

Nel libro, arricchito da foto storiche e dalle vivaci illustrazioni di Gianna Cezza oltre che dalla bella introduzione di Salvatore Rizzello, docente universitario e musicista, fantasia e testimonianza, storia e cronaca si mescolano perfettamente. E questo grazie al racconto in prima persona dell’autore e alla ricostruzione documentata nel libro, che fa rivivere non solo la magia ma anche la funzione sociale delle bande.

«C’è un “fil rouge” che accompagna chi si avventura in questa piacevole e originale lettura, solo all’apparenza eterogenea – scrive infatti Rizzello - non la banda musicale, come è facile supporre sin dal titolo. Il vero collante è biografico. È l’emblematica, quasi paradigmatica direi, esperienza diretta dell’autore con il mondo bandistico... La sezione “diario” offre uno spaccato da “dietro le quinte”, che permette quasi di vivere la quotidianità della “fatica” e dei sacrifici che stanno dietro a ogni festosa parata o “luccicante” concerto serale».

Il libro

Partendo proprio dal diario, arricchito da altri racconti, si giunge così a descriverne i meccanismi, le esperienze e il lessico. «Ogni paese aveva le sue usanze, anche per la festa, e su queste si organizzava la giornata della banda – racconta in apertura Corvaglia - se la mattina non aveva eventi particolari, si faceva un giro del paese con marcette allegre, per poi arrivare a mezza mattinata in piazza per una sorta di matinée con pezzi d’opera o sinfonici.

Intanto, durante il giro, gli “spesaioli”, che appena arrivati si informavano subito sui negozi aperti, provvedevano a comprare l’occorrente per il pranzo. In genere il pranzo era sempre un pasto semplice, ma sostanzioso, comprendente un piatto di pasta, un secondo, che poteva essere una bistecca o la carne del sugo, un contorno, generalmente insalata o pomodori, del pane e della frutta, come dessert. Tutto era buono: sarà per la fatica, sarà perché non c’era altro».

Una storia antica

La comparazione di differenti epoche o realtà territoriali fornisce poi la chiave per comprendere che la banda è sempre stata anche, se non soprattutto, uno strumento formativo, educativo e di aggregazione sociale. «Le bande di oggi – sottolinea ancora l’autore - non sono quei complessi di un tempo quando i musicanti erano artigiani, barbieri, calzolai, sarti, falegnami che durante il giorno lavoravano nelle loro botteghe e alternavano il loro mestiere a quello di musicante nella banda, con lo scopo di arrotondare il proprio piccolo guadagno e, se non suonavano proprio ad orecchio, poco ci mancava. Oggi la maggior parte dei bandisti è formata da musicisti che hanno studiato e spesso hanno conseguito un diploma presso il Conservatorio. Probabilmente la scarsa conoscenza delle opere, ritenute musica obsoleta, e, forse, anche la difficoltà economica ad adeguare il repertorio a gusti più moderni mettono in crisi questa istituzione. Anche le risorse a lei dedicate vengono limitate perché il grosso dei soldi raccolti per le feste viene dirottato su altri spettacoli, dalle luminarie ai concerti di cantanti noti e così via». 

Prezioso cameo finale è l’intervista fatta a Nicola Hansalik Samale, che ha guidato le orchestre più prestigiose del panorama internazionale salendo sempre con grande passione anche sulle casse armoniche. Molto stretto il suo rapporto con il Salento dove è stato direttore artistico dell’Orchestra Ico della Provincia di Lecce. Rispondendo a una domanda sul rilancio delle bande, Samale ha spiegato che «ci vogliono dei battage pubblicitari, fatti anche con Internet e con i mezzi della moderna tecnologia. Poi occorre fare quello che io ho fatto per molto tempo, cioè parlare dei pezzi prima del concerto. Io li spiego spesso, ma lo spiego non con parole dotte o tecniche oppure con tecnicismi inutili. A me piace parlare col pubblico, colloquiare, mi piace parlare dopo il concerto e spiegare. Se potessi fermerei l’esecuzione per spiegare le cose».

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