Intervista (impossibile) a Emily Dickinson: "La poesia del mondo, in una stanza"

Emily Dickinson, illustrazione di Giulia Tornesello
Emily Dickinson, illustrazione di Giulia Tornesello
di Stefano CRISTANTE
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Domenica 3 Dicembre 2017, 20:18 - Ultimo aggiornamento: 20:37
Intervistatore: Mi perdoni signorina Dickinson, ma le pare bello visitare la città di Lecce stando chiusa da due settimane in un b&b, per quanto accogliente?
Emily Dickinson: Guardi piuttosto che splendida visione della vostra piazza si ha da questa finestra, signore.
I: Ne deduco che le sue abitudini non cambiano, quindi.
ED: Perché dovrebbero? È questo il modo di vivere che ho scelto.
I: Davvero si può parlare di una scelta?
ED: Lei come la chiamerebbe?
I: Sono sempre stato curioso del suo stile di vita. Le tante voci enciclopediche su di lei parlano di una vita di reclusione a partire dai 25 anni. A parte due brevi viaggi per trovare parenti in altre città, lei non si è mai mossa dalla sua casa di Amherst, Massachusettes, a quanto pare sempre in abito bianco, come a segnalare castità e distacco dal mondo.
ED: Le chiedo: lei come chiamerebbe questo atteggiamento?
I: Esclusione dal mondo.
ED: Eppure io ho molto amato il mondo, a mio modo.
I: Infatti non è detto che non si ami ciò da cui ci si esclude. Ma l’atto dell’escludersi dal mondo trasmette un gusto amaro e tragico della sua vicenda biografica.
ED: Amarezza e tragedia: sensazioni a me sconosciute.
I: Eppure lei ha scritto: “In questa breve Vita/Che dura solo un’ora/Quanto – quanto poco – è/In nostro potere”. Non è amarezza questa?
ED: La condizione umana è questa. Le mie parole non contano: conta la pochezza dell’essere umano in quanto tale.
I: Mi scusi signorina Dickinson: ma in che modo lei ha tentato una reazione alla pochezza della condizione umana?
ED: Riducendo l’intero mondo a giardino della mia casa, da scrutare al riparo di una finestra, mentre le parole fluttuavano scintillanti nella mia mente.
I: Eppure un critico letterario del suo paese ha detto che lei pubblicò così pochi versi in vita da diventare poetessa solo dopo morta…
ED: Non si può negare che la mia fortuna letteraria sia stata senz’altro postuma. Eppure, nonostante la penuria di pubblicazioni, ho sempre saputo di vivere per la poesia.
I: Mi viene in mente un altro grande poeta americano, Wallace Stevens. Mi pare dicesse più o meno: “E per chi, se non per te, dovrei provare amore”?
ED: A chi si riferiva?
I: Alla Poesia.
ED: In questo caso concordo con Stevens.
I: Bene. Ciò non spiega perché lei abbia scelto di scrivere ogni giorno della sua vita senza però farsi leggere dagli altri. La poesia non è anche confronto tra poeti, tra scritture diverse?
ED: Vede, ho ricercato il mondo, non la solitudine. Essa è stata solo il mio mezzo per cercare il mondo.
I: Assai paradossale, se mi consente.
ED: Non pretendo di convincerla a una tesi, ma solo di accettare il mio punto di vista.
I: Mi risulta difficile. Sono un sociologo, e quindi tendo a studiare gli individui associati, i gruppi. Se mi posso permettere, a me pare che lei abbia costruito la sua esistenza con l’autosufficienza di una divinità minore, una Calipso senza Ulisse.
ED: La mitologia è fascinosa, ma fuorviante. È evidente che la mia scelta di romitaggio urbano nasce da una sofferenza.
I: Mi dica, se ha voglia: che tipo di sofferenza?
ED: Sarò franca con lei: non lo so. Non so se nel mio turbamento rientrino le incomprensioni con mio padre oppure il fugace sentimento per un uomo di fede. Non lo so. So che quando ho compiuto 25 anni ho sentito una musica nella mia mente, e ho visto una luce biancastra invitarmi ad abitare la mia casa, il solo rifugio che mi consentisse di non sentirmi perduta e assediata.
I: Mi sembra straordinariamente onesta la sua spiegazione. Non pensa tuttavia che le condizioni che lei descrive – quasi da illuminazione di Giovanna D’Arco – stridano con l’epoca in cui lei visse, quel XIX secolo così pieno di modernità e di promesse di sorti magnifiche e progressive?
ED: Mi sembra di aver letto quest’espressione in un libro del poeta Giacomo Leopardi che mi regalò mia sorella dopo un viaggio in Italia. È possibile?
I: Sì, lei ha un’eccellente memoria signorina Dickinson. È il Leopardi della Ginestra.
ED: Mi piacque enormemente anche la poesia “L’infinito”. Chiesi a mia sorella di aiutarmi a tradurla.
I: Mi sta dicendo che in qualche modo lei è stata dentro la poeticità del moderno? Che in fondo, anche se lei si è autoreclusa in casa, ha continuato a leggere e commentare i suoi contemporanei?
ED: Leopardi in effetti è un’eccezione. Tutti quelli che amavo sono a lui molto, molto precedenti.
I: Shakespeare? Dante? Omero?
ED: Non solo. Penso che da un certo momento in poi io abbia dato vita a un’enciclopedia di suoni e di immagini che provenivano dagli angoli più minuti della mia stanza, dal camino, dalla cucina. Li ho mescolati ai sonetti di Shakespeare, ai versi di Dante, alle rapsodie dei melografi.
I: E il risultato?
ED: Credo, signore, che questo dovrebbe dirlo lei.
I: Allora le dirò la più schietta e la più facile delle verità: il risultato è magnifico. I suoi versi sono piccole gemme che si incastonano nella memoria del lettore.
ED: Non mi faccia arrossire, non sono abituata a ricevere complimenti.
I: Le dirò di più: la sua scrittura nasconde uno sguardo così intimo e particolare sui sentimenti e sulla natura da rappresentare un vertice poetico.
ED: Gradirebbe un tè?
I: Perché non usciamo per dieci minuti? Le faccio conoscere il più antico caffè di Lecce. Mi permetta di insistere.
ED: Se io uscissi, caro signore, perderei il fascino di questo raggio di sole rossastro che sta scivolando nella tazza che ho predisposto per lei. Una zolletta?
I: Niente zucchero, grazie.
ED: Del latte?
I: Nemmeno signorina.
ED: Il cucchiaino giace abbandonato sul tavolo, non vede?
I: Ha ragione. Lo girerò comunque nella tazza per dargli un significato.
ED: Grazie.
I: Grazie a lei, signorina Dickinson. Buon compleanno.



Nota a piè di pagina:
Emily Dickinson nacque (10 dicembre 1830) e morì (15 maggio 1886) a Amherst (Massachusetts). Quando morì, la sorella rinvenne 1775 poesie nella stanza di Emily che, dal 1855, si era chiusa in casa, spostandosi solo pochissime volte per viaggiare a Boston e a Chicago da alcuni parenti.
Le poesie furono trovate in un contenitore, sotto forma di foglietti legati da un unico filo.
Durante la sua vita, furono pubblicate solo sette poesie. Al momento della pubblicazione (postuma) della prima serie di versi, nel 1890, l’opera della Dickinson destò già attenzione. La scoperta di nuove poesia dell’artista rallentò il lavoro di sistemazione e interpretazione critica, che solo nel 1955 licenziò, nella persona dello studioso Thomas H. Johnson la prima edizione commentata dei suoi lavori (in tre volumi). Dal 1998 è disponibile una nuova edizione critica, a cura di Ralph W. Franklin, sempre in tre volumi, con una revisione della cronologia e una nuova numerazione delle poesie (1789 poesie più otto in appendice).

 
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