«Narrare è necessario per capire il presente»

«Narrare è necessario per capire il presente»
di Claudia PRESICCE
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Mercoledì 14 Luglio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 09:14

La voglia di leggere e l’urgenza di scrivere, l’arte del narrare e la necessità di tornare a fermarsi e riflettere, sull’uomo e sulla vita, su di noi: questo è tanto altro scorre tra le pagine di “Salvo casi imprevisti”, ultimo denso libro di Antonio Errico, narratore, giornalista, dirigente scolastico di liceo in provincia di Lecce. Il volume è composto da editoriali, pubblicati su Nuovo Quotidiano di Puglia negli ultimi anni, e rimaneggiati per diventare un unico corpus.

«Questo libro – spiega Errico – è il risultato di una scelta essenziale di articoli usciti sul giornale che avevano una coerenza tematica, come l’incertezza della conoscenza, la bellezza, il senso della memoria, il senso del futuro, l’importanza dell’imperfezione, la necessità di una convergenza di sapere umanistico e sapere scientifico e l’errore della loro separazione. Certo, il lavoro di riorganizzazione e di annodamento dei pezzi, l’incastro e l’eliminazione di molte parti, a volte li rendono irriconoscibili, ma la provenienza è quella del giornale. Nella prima stesura il libro era il doppio del definitivo. Ma sono convinto che, oltre le centocinquanta pagine, il lettore ti abbandoni. Ormai abbiamo tempi di lettura brevissimi».

I rimandi letterari sembrano una sorta di colonna vertebrale su cui montare discorsi, riflessioni, idee. Vuol dire questo saper utilizzare la cultura, creare un terreno su cui innestare e far germogliare la nostra esistenza, quantomeno elettiva? 

«In effetti la letteratura è molto spesso, quasi sempre, il riferimento concettuale, oppure la suggestione, oppure il nucleo di significati da cui comincia la riflessione. D’altra parte sono convinto che la letteratura costituisca un terreno sterminato dal quale ricavare idee, anche considerando il fatto che quasi mai fornisce risposte, ma propone in continuazione domande e dubbi. Siccome il nostro tempo è, forse più di ogni altro, caratterizzato da dubbi e incertezze di ogni tipo, diventa pressoché inevitabile confrontarsi con la dimensione letteraria. Poi, insomma, la formazione alla quale appartengo è quella della letteratura e della pedagogia, per cui il rivolgersi a queste due dimensioni è quasi un fatto naturale».

Da dove si comincia o si ricomincia? Cioè, le sue sembrano letture e riletture masticate tanto da diventare parte di lei, è così?

«Sì, è così. Si tratta di letture di anni, molto spesso anche disordinate, che si sono stratificate, confuse, impastate. Non ho mai seguito un metodo, un ordine di lettura, a volte ho difficoltà a recuperare il riferimento bibliografico. Poi è chiaro che le letture che ciascuno di noi fa diventano parte di noi stessi e strumenti che ritroviamo nelle nostre osservazioni e interpretazioni dei fatti, dei fenomeni, delle storie. Per me i libri si distinguono in due categorie: quelli che quando hai finito di leggerli sei un po’ diverso da com’eri quando hai cominciato e quelli che ti lasciano esattamente come ti hanno trovato. Credo che questi ultimi siano inutili».

Al centro si indaga e divaga tra i valori di sempre, quelli fondanti nella nostra vita. E nel dolce navigare in questo mare viene in mente una domanda: quanto è cambiato il senso che diamo a cose come la bellezza e la nostalgia, ad esempio? Il loro effetto in tempi rapidi come i nostri è sempre lo stesso? 

«È inevitabile che tutto cambi. Ed è anche una fortuna, molte volte. È inevitabile che cambi il concetto di bellezza, per esempio, che cambino i suoi canoni e le sue espressioni. Ma è sempre stato così. Sarà sempre così.

Noi abbiamo un’idea di bellezza diversa da quelli che c’erano prima di noi. Quelli che verranno dopo ne avranno un’altra, diversa. Anche le cose per le quali proviamo nostalgia sono diverse e saranno diverse».

È cambiata anche la memoria?

«Credo che siano profondamente cambiate le forme della memoria. Si tratta di una mutazione profonda determinata soprattutto dalla tecnologia, probabilmente. E dalla globalizzazione. Forse siamo diventati come Ireneo Funes, il personaggio di una delle “Finzioni” di Borges: sovraccarichi di memoria non riusciamo a distinguere quella essenziale, per l’attribuzione di un senso al passato, per la configurazione del futuro, per il riconoscimento dell’identità, da quella che non incide né a livello soggettivo né a livello collettivo. Gli uomini hanno bisogno di dimenticare per poter ricordare l’essenziale, e forse noi non sappiamo più dimenticare o non ci è consentito dimenticare».

Il narrare dove nasce? È uno stato dell’anima, una urgenza inderogabile, una lettura continua dell’esistenza…?

«Ciascuno di noi ha modi e strumenti propri per confrontarsi con la Storia e per interpretare il presente. Alcuni lo fanno attraverso la narrazione. La narrazione consente di guardare le cose da più punti di vista. Per tentare di capire qualcosa che si ha bisogno o desiderio di capire, un solo punto di vista non basta. Anzi, può essere anche fuorviante».

Nella sua bibliografia si alternano quasi sistematicamente romanzi e saggi. C’è una ragione o è casuale?

«Non è casuale. Quando scrivi un romanzo, per il tempo in cui lo scrivi, convivi con i suoi personaggi. Ma i personaggi diventano invadenti, si impossessano di te e pretendono di esercitare quel loro possesso anche quando hai finito di scrivere. Allora te ne devi liberare. Devi dire loro che le strade si dividono lì, all’ultima parola. Che non vuoi più condividere nulla. Dopo l’ultimo romanzo, “Peccata”, di due anni fa, io dovevo troncare definitivamente ogni rapporto con i dieci personaggi con cui avevo vissuto per quattro anni, dovevo uscire per sempre da quella battaglia che infuriava nella piazza. Così per due anni, ogni sera fino a tardi, ho lavorato a questo saggio, anche se con la forma mentis del narratore. I personaggi di “Peccata” li ho dimenticati. Spero non me ne vogliano».

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Salvo casi imprevisti. Saggi casuali e leggeri di un narratore” sarà presentato stasera (mercoledì 14 luglio), alla presenza dell’autore, alle 20 nell’Atrio del Palazzo Marchesale di Galatone, nell’ambito dell’Estate Galatea. Note introduttive e interpretazione sonora del testo a cura di Gianluigi Antonaci (docente, compositore), interventi di Flavio Filone, sindaco di Galatone, e Salvatore Cosentino, magistrato, autore teatrale. Ingresso libero su prenotazione, nel rispetto delle misure anti-Covid (info e prenotazioni 320.8745640, 377.1947660, 328.8683935).

Domani (giovedì 15 luglio) alle 20 invece Antonio Errico con il suo libro sarà a Lecce, presso la Biblioteca Bernardini, per l’edizione 2021 di ExtraConvitto che ospita una tappa della XVI edizione di Luoghi d’Allerta dell’associazione culturale Fondo Verri. Dialogherà con l’autore Salvatore Colazzo di UniSalento. A seguire, recital “d’Accordo” di e con Daria Falco e Bruno Galeone. Ingresso libero con prenotazione obbligatoria (per info e prenotazioni, 0832.373576).

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