Storie non raccontate di maternità mancate

Storie non raccontate di maternità mancate
di Claudia PRESICCE
5 Minuti di Lettura
Venerdì 2 Giugno 2023, 05:00

Scoperchiare un mondo di problematiche legate alla ricerca della maternità e ai problemi connessi che ricadono sulle donne, a fatti gravi legati al mondo femminile e alla sanità italiana, ignorati quando non osteggiati nel dibattito politico, rende il suo libro un grimaldello felice. Lei è la scrittrice barese Antonella Lattanzi che con il suo ultimo lavoro “Cose che non si raccontano” è stata nei giorni scorsi a Lecce, ospite del Festival delle Letterature organizzato e ospitato dall’Accademia di Belle Arti.

È vero Lattanzi che ci sono cose che non si raccontano, che non possiamo condividere integralmente. Questo libro spinge a parlare di cose “non raccontabili”, c’è un silenzio assordante intorno alle difficoltà delle donne che significa solitudine...

«La frase del titolo viene da un libro di George Simenon ‘La camera azzurra’ in cui un uomo accusato di omicidio cerca di spiegare al giudice i motivi per cui non avrebbe mai potuto commettere ciò di cui lo si accusa. Per questo vuole spiegare chi è, raccontarsi. Allora Simenon ferma la scena e spiega che queste sono ‘cose che non si raccontano’, cose semplici ma che si possono capire solo se si vivono: e conclude dicendo che però quel giudice non le aveva mai vissute. Ecco, credo che la letteratura finisca per dire sempre cose che non si raccontano, cose che fanno male, che non si dicono, cose che fanno parte anche di istinti abietti che abbiamo tutti. Io qui ho fatto questo: ho raccontato la mia semplicissima storia di ricerca di maternità e gravidanza mancata. Che poi sia costellata da colpi di scena, coincidenze e aspetti terrificanti della ricerca e poi perdita di un figlio in arrivo, non è tutto. Conta molto il fatto che raccontando cose che non si raccontano siamo tutti meno soli».

L’esigenza di maternità è un concetto complesso, profondo, intimo, ma ha anche risvolti socioculturali: va dalla visione di un’esperienza sociale “necessaria” quasi obbligata al bisogno istintivo reale. In questo libro apre un mondo sulle donne alle prese con le maternità, volute e non, e sulle colpe all’interno del mondo della sanità. E parla ancora delle difficoltà di conciliare carriera e maternità: ma non ci avevano raccontato da bambine che era un problema superato?

«Sì, ci avevano raccontato che era finito il tempo in cui una donna doveva decidere tra la maternità e l’ambizione, che avremmo potuto avere entrambe ed essere considerate come esseri umani completi. Invece non è così. È alle donne ancora oggi che si ascrive tutto il peso psicologico e fisico, sia della ricerca della gravidanza che di tutto ciò che viene dopo: si dice ancora ‘il figlio è della mamma’, ma invece è di chi lo cresce e se ne prende cura. Ho attraversato tanti momenti brutti durante la mia storia, episodi di violenza ostetrica, fisica e psicologica legati a tutto il percorso di ricerca di maternità e procreazione medicalmente assistita. Purtroppo l’embrione impiantato si è triplicato dando vita a tre gemelli e quindi ad una gravidanza molto complessa non andata a buon fine.

Ho vissuto cose durante questo lungo percorso senza potermi ribellare mai, a niente, perché era una questione di vita o di morte. Allora poi, quando tutto è finito, ho pensato che queste cose non le dovevo dimenticare e che dovevo raccontarle anche per dare voce a tante altre che le subiscono senza poterne parlare».

Forte, ma profondamente sincero, è il suo racconto dell’intima ricerca di fronte ad un proprio malessere di capire la gravità di quello che ti sta succedendo: capire come affrontare una calamità fisica, come l’emorragia incontrollata che lei descrive, può dipendere solo dalla nostra percezione del pericolo. Cambia la vita decidere se chiamare o meno il Pronto soccorso…

«Ho letto da qualche parte che il vero eroe è colui che, di fronte ad un accadimento, non può più pensare ma agisce. Penso che succeda questo quando ci accade qualcosa di davvero brutto. Ho scritto questo romanzo non per fare un memoir, o un diario, né per scrivere un romanzo solo per le donne o per chi è interessato al tema della maternità: ho scritto un romanzo che cercasse di parlare di dolore, ma soprattutto di desiderio, forza, energia e anche di rabbia. Rabbia, perché la disperazione non porta niente, invece la rabbia porta anche tanta vitalità e reazione. Leggendo libri che parlavano di cose lontanissime da me, a volte, mi sono ritrovata e ho capito chi sono. E spero che se qualcuno sta provando un qualsiasi grande dolore possa trovare sollievo e luce in questo libro, che sia in qualche modo catartico».

La scrittura che viene “prima di tutto” per lo scrittore è una necessità come la musica per il musicista o la pittura per il pittore: questa febbre dell’arte può davvero togliere tanto o è piuttosto un paese incantato in cui trovare rifugio sempre? Se avesse accantonato la scrittura per diventare madre da ragazzina, sarebbe stata una madre felice?

«Non penso che sarei stata felice. E ritorno al discorso di prima: perché ad una donna viene chiesto di scegliere? E perché ad un uomo, no? Nelle cliniche di procreazione assistita ti avvisano che devi decidere: se ti concentri su questa maternità non puoi pensare e fare nient’altro. Perché ad un uomo non si chiede? Quindi sogno, e credo che sia possibile anche attraverso la narrazione di cose che non si raccontano come queste, di cominciare a costruire un mondo in cui tutto cambi e non si facciano queste richieste alle donne».

È stata a Lecce al Festival delle Letterature dell’Accademia di Belle Arti: per lei la Puglia è un ritorno a casa. Sta cambiando la sua regione?

«Sono stata davvero felice e onorata di questo invito a Lecce. Sono felicissima quando torno nella mia regione che ho lasciato nel 2000 quando era molto difficile qui per un giovane lavorare nel mondo culturale. Negli anni ho scoperto che c’è stata una vera primavera pugliese ed è un risveglio che continua: è una regione vivissima, piena di energia e popolata dall’amore per la cultura. Questo mi riempie di orgoglio e speranza per le generazioni future».

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