Dario Agrimi mette in bilico sofismi e voli pindarici

Dario Agrimi mette in bilico sofismi e voli pindarici
di Carmelo CIPRIANI
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Venerdì 26 Agosto 2022, 05:00

Da qualche giorno c’è un uomo in equilibrio precario a diversi metri di altezza in piazza Catuma ad Andria. È in abbigliamento intimo e poggia i piedi nudi al termine di un breve trampolino. Vuole tuffarsi in un secchio d’acqua. I lunghi capelli bianchi, la barba incolta e le carni morbide lasciano intuire un uomo avanti negli anni. Tutto fa pensare ad una tragedia prossima a consumarsi, il gesto disperato di un uomo in evidente stato confusionale pronto a chiudere i suoi giorni in modo drammatico e insieme teatrale. L’assenza di un respiro, di una parola e di un qualunque movimento rivelano però la reale natura della scena. Si tratta di un’iperrealistica installazione, di una trovata artistica in silicone, resina ed altri materiali. Decisamente sensazionale, a prescindere dai suoi significati, molteplici. 

Sensazionale come molte delle opere del suo autore, Dario Agrimi, artista pugliese attivo a Trani, tra i più noti della sua generazione. Molte le sue opere che non hanno mancato di scandalizzare o affascinare, in diverse città d’Italia e in molteplici contesti, espositivi e non. Come l’opera “Non dice chi è” del 2016, un uomo ammantato di nero simile a un impiccato, che una visione più attenta rivela non appeso a una corda ma sospeso da terra. Un dettaglio non trascurabile che cambia totalmente il messaggio dell’opera. Eppure, dopo essere stato esposto in quello stesso anno a Set Up a Bologna da Art and Ars Gallery di Galatina, dov’è stato ammirato e fotografato da decine di attenti visitatori, è poi andato, qualche tempo più tardi, in una galleria privata di Cosenza. Lì è apparso un impiccato, creando scompiglio tra i passanti, spaventando bambini e donne incinte, fino a suscitare l’immancabile dibattito sui social (cosa che puntualmente si sta riproponendo per l’installazione andriese) su cosa sia l’arte, su quali siano le sue possibilità e i suoi limiti.

A contendersi la ragione, ieri come oggi, estasiati ammiratori di Agrimi e suoi feroci detrattori. Non meno luttuosi e “provanti” sono “Ascesa” del 2011, un giovane uomo con le fattezze dell’artista vestito in abiti funerari e sospeso in diagonale, esposto per la prima volta nella Sala Murat a Bari in occasione della personale “Grazieadiosonoateo”, o “Limbo” del 2014, una vasca colma di un liquido nero oleoso, simile a petrolio, da cui emerge il volto di un uomo annegato o sul punto di esserlo, presentato alla Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare per la bipersonale “Duel” con Raffaele Fiorella

E come dimenticare “Passato, presente e futuro”, l’anziana mendicante prostrata, messa in scena in un locale a Conversano? È accaduto nell’estate del 2019, per la personale “Mozzafiato” promossa dalla locale Galleria Cattedrale, il cui manifesto, al limite della blasfemia, presentava Agrimi con aureola e abiti messianici.

L’artista gioca tra sensato e insensato

Con fare cattelaniano, l’artista si diverte a giocare sul limite tra sensato e insensato. Nelle sue sculture tutto è verosimile ma un singolo dettaglio, spesso non visibile a prima vista, lascia intuire l’incantesimo, la finzione dell’arte, rivelando ciò che è e ciò che non è. Ed è in questo secondo passaggio, seguente il momento iniziale dello sbigottimento, che Agrimi genera nel fruitore la necessaria riflessione sul suo operare. È in quel preciso frangente che ci si inizia a interrogare su quanto si vede e spesso si arriva a chiedersi se quei personaggi non siano in realtà dei ritratti di ciascuno di noi, se quei derelitti e malcapitati non siano delle nostre possibili derive esistenziali. 

Non visioni profetiche naturalmente (benché l’artista, da abile imbonitore sarebbe capace di farci credere qualunque cosa, d’altronde anche questo è parte del suo gioco serio dell’arte) ma tremende metafore di un’esistenza che dietro la sua apparente leggerezza è grave, troppo pesante da reggere, specialmente per quanti (tanti) non sono in grado di sopportarne le molteplici prove.

Le sue sono spesso scene impossibili eppure veritiere. Sardoniche e irriverenti, esse raccontano il dramma e la solitudine dell’uomo.

"Sofismi" e "Voli pindarici"

Ma torniamo ad Andria. “Sofismi” - questo il titolo dell’installazione - non è sola. Poco distante si scorge una donna, anche lei anziana, sospesa a circa due metri da terra in posizione orizzontale, parallelamente al pavimento rivestito da antiche piastrelle. Si libra in aria crocifissa. La sua testa è puntata su una parete ricoperta da una carta da parati fiorata. Una foto appesa e una scopa poggiata alla stessa parete completano l’umile scena. S’intitola “Voli pindarici” e come Pindaro anche l’anziana signora è proiettata in una dimensione fantastica, allucinogena più che fiabesca. 

Nessuna apparente relazione si scorge tra le due installazioni. Entrambi i protagonisti però indossano la fede nuziale. Potrebbero essere marito e moglie ma non è dato saperlo. Ad accomunarli, nella multiforme visionarietà dell’artista, è la loro condizione di emarginati, di derelitti ma anche di improbabili eroi, unici tra i pochi in grado di afferrare la loro esistenza dettandone le sorti, tra gesti estremi e miracolose levitazioni.

Le due installazioni rappresentano l’anticipazione del XXVI Festival Castel dei Mondi, ampia manifestazione di musica e spettacoli che si svolgerà ad Andria da oggi al 4 settembre.

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