"Idda", le radici nel cuore e la memoria che ritorna. Ambientato tra Parigi e il suo Salento il nuovo romanzo di Michela Marzano

"Idda", le radici nel cuore e la memoria che ritorna. Ambientato tra Parigi e il suo Salento il nuovo romanzo di Michela Marzano
di Claudia PRESICCE
6 Minuti di Lettura
Domenica 27 Gennaio 2019, 20:30
Il passato non passa. Continua a circolare nelle vene più profonde, silenzioso, creando qua e là piccoli segni che, prima o poi, emergono a fior di pelle. Disegnano tatuaggi naturali che non si lavano via, e raccontano chi siamo e da dove veniamo. Ma, se nel nostro bagaglio c'è sempre qualcosa da tenere e qualcosa da buttare, è inutile negare quello che un giorno siamo stati. Inutile litigare col passato, anzi, solo da quella riappacificazione si può davvero cominciare a rinascere.

Il senso del tempo, il valore della memoria e la sua perdita, quello che dà vera contezza del nostro essere di fronte al mondo al di là delle barriere che negli anni costruiamo, quei luoghi interiori in cui nasce e cresce l'amore per noi e per gli altri, sono al centro di "Idda" (Einaudi Stile Libero; 17.50 euro), ultimo intenso libro della filosofa Michela Marzano, professore ordinario di filosofia morale all'Università Paris Descartes, editorialista di Repubblica e autrice di pubblicazioni che hanno girato il mondo. Francese d'adozione, romana di nascita ma di origini salentine, in questo romanzo dedicato al valore del tempo ha deciso anche di rispolverare i suoi tatuaggi naturali, parole rimaste dentro dai giorni trascorsi nell'antica casa dei nonni del profondo Sud.

Cominciamo dal Salento. I suoi rapporti dove cominciano e dove arrivano?

«Questo non è un romanzo autobiografico, però essendo un racconto sulle radici dovevo per forza metterci dentro il Salento avendo una mamma della provincia di Taranto e un papà della provincia di Lecce, di Campi Salentina dov'è ancora la casa dei nonni cui tengo molto. Si parla della memoria, persa e ritrovata, quindi è stato naturale per me pensare che la voce narrante della storia, cioè Alessandra, fosse di origini salentine. E anche che il titolo dovesse essere lei in salentino, riferito ad Annie, la donna anziana francese che ha perso la memoria da cui la storia parte. Grazie a lei e alla sua storia, Alessandra tornerà nel Salento, recuperando le proprie radici, i propri ricordi e il proprio dialetto, facendo pace con le sue origini e riuscendo finalmente a vivere, senza essere agita dal passato ma agendo più consapevolmente il suo presente. Vorrei precisare che volevo scrivere nel titolo iddrha come lingua salentina vuole, ma per evitare difficoltà di lettura dei non meridionali è stato deciso per Idda. Io il dialetto non lo conosco bene, le mie cugine salentine mi hanno aiutata la scorsa estate a sistemare le frasi nel libro».

Tuttavia qui siamo di fronte a una storia d'invenzione. Si è più liberi davanti alla costruzione di un romanzo letterario?

«Già con L'amore che mi resta, che era un romanzo, ho percepito il senso di libertà enorme che dà una narrazione pura rispetto ad una autobiografica in cui ci sono sempre dei limiti. Quando si inventa un personaggio di una storia si può essere più liberi e anche più spietati, si può cioè raccontare fino in fondo una vita, tra motivazioni e debolezze, senza paura di essere indelicati perché non è una storia vera».

La narrativa aiuta anche a mostrare possibili percorsi risolutivi?

«Certamente, con una storia inventata si può trovare una soluzione che a volte nella vita non c'è. Non sapevo però come sarebbe finita, e questa è stata la vera novità, solo raccontandola ho capito dove la storia sarebbe andata a parare. Quando si racconta di sé si sa prima come finisce, invece in questo caso l'ho scoperto in pratica come lo scoprirà il lettore».

Ricostruendo la vita di qualcun altro si arriva alla ricostruzione di sé. Senza svelare troppo della trama, è un po' questo il senso?

«Sì, il romanzo è costruito a specchio, due donne si specchiano l'una nell'altra. Alessandra ricostruisce la storia di Annie che non ricorda più niente e non riconosce neanche il figlio Pierre (compagno di vita di Alessandra; ndr). Attraverso i suoi oggetti entra nella vita di Annie ambientata nella Parigi tra anni '40 e '50 e si immerge in un mondo molto lontano dal suo. E ad un certo punto però sentirà nascere l'esigenza di fare i conti col proprio di passato. Così un giorno la sua madre lingua, il dialetto salentino dell'infanzia, che aveva dimenticato completamente, riaffiorerà all'improvviso. Alessandra è biologa e, mentre sta spiegando in francese agli studenti la forma della pianta della vite, senza pensare a un certo punto dirà ua riferendosi all'uva. Indipendentemente da quello che pensiamo di controllare, l'affettività della lingua infantile non può essere controllata, e viene fuori come parte di noi. Questa sarà la prima di una serie di parole che la riporteranno indietro negli anni costringendola a fare i conti con il proprio padre e la propria zia, e alla fine anche col proprio compagno».

Dal passato al presente quindi. Esattamente che cosa vuol dire che il passato agisce dentro di noi?

«Oggi è la Giornata della memoria ed è importante ricordare il ruolo fondamentale che ha il passato nelle nostre vite, per certi versi il passato non passa mai. Siamo noi a dover decidere cosa fare di questo passato, possiamo illuderci di negarlo e controllarlo, ma presto saremo agiti dal passato, cioè avremo la tendenza a riprodurre dei meccanismi già conosciuti e che nonostante rifiutiamo tendiamo a ricostruire. Oppure possiamo scegliere di ripercorrere il nostro passato, farci i conti e liberarci dal suo peso diventando attori del nostro futuro, cioè andando avanti consapevoli che oggi siamo quello che ieri abbiamo attraversato. Attraverso la ricostruzione del passato e della memoria i miei protagonisti, Alessandra e Pierre, riescono finalmente ad organizzare la propria esistenza in maniera più consapevole».

Bellissimo, quanto anacronistico, parlare di memoria in un'epoca che la va perdendo...

«Anche per questo ho voluto centrare il libro sulla storia. Viviamo in un'epoca in cui si crede di poter andare avanti senza rielaborare pezzi interi del nostro passato, ma questo ci fa camminare zoppi. Abbiamo bisogno della nostra storia per evitare di ripetere gli stessi errori, ma anche per avere dei valori e una luce che ci dia la direzione».

Anche gli oggetti della memoria non esistono più: si cambia tutto di continuo, si butta via, e non ci sono più fotografie stampate né lettere, i ricordi spesso restano in vecchi pc o telefoni dismessi.

«È vero, ma anche se siamo nell'epoca del consumo veloce, arriva sempre il momento in cui fare i conti con oggetti del passato. Purtroppo capita a tutti prima o poi di svuotare una casa dei nonni o dei genitori che appartenevano a un'epoca in cui gli oggetti si accumulavano, e ci troviamo in eredità pezzi di memoria da governare. Nel mio libro quando Alessandra entra con Pierre nella casa di Annie deve fare ordine e gestire oggetti carichi di memoria, mai neutri, ma non suoi, decidere cosa buttare, cosa regalare, cosa vendere, cosa conservare. È importante pensarci per ridare valore agli oggetti della memoria e anche per prepararci a questi momenti non facili della vita che però arrivano. Riappaiono ricordi incredibili attraverso documenti, libri, lettere, vestiti, profumi».

La ricostruzione della memoria di una persona che non si conosce poi è ancora più difficile.

«La sorpresa è imparare cose di sé attraverso quelle di un'altra persona. Alessandra si rende conto anche delle sue possibilità attraverso le battaglie fatte da un'altra donna in altri tempi».

E si rende conto anche com'è la vita di una madre.

«Vero, si sente di nuovo figlia e sente la forza di quel rapporto materno bruscamente interrotto che aveva rimosso del tutto. Ma il passato non passa».
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