Di Vagno, parlamentare e giornalista: l'eroe pugliese ucciso dai fascisti

Di Vagno, parlamentare e giornalista: l'eroe pugliese ucciso dai fascisti
di Alessandra LUPO
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Venerdì 26 Novembre 2021, 13:19 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 12:14

A cento anni esatti dalla morte per mano dei fascisti, avvenuta a Mola di Bari dopo un comizio, la figura di Giuseppe Di Vagno continua ad affascinare e a far riflettere.
Il parlamentare socialista di Conversano, ucciso a soli 32 anni nella piena fioritura di una carriera politica che aveva tutti i requisiti per consegnarlo alla storia italiana, è rimasto per molto tempo una figura in qualche modo minore del Mezzogiorno: scomparso troppo presto dalla scena politica e ricordato dai più unicamente come primo martire di quella che di lì a poco sarebbe diventata la triste realtà dello squadrismo fascista. Eppure negli anni la sua figura ha richiamato una schiera crescente di estimatori che ne hanno potuto apprezzare la complessità. Di Vagno fu infatti anche un giornalista e un intellettuale coraggioso ma soprattutto fu un eroe capace di andare incontro al suo destino, forse ritenendolo ineluttabile. La sua esperienza di vita, così come il tragico omicidio per il quale i responsabili non hanno mai pagato, si svolgono infatti su un margine storico sottile. Una linea che separa quel prima in cui gli agrari esercitavano un potere assoluto sui contadini dal dopo di lotte per i diritti dei lavoratori. In mezzo, il destarsi di una coscienza sociale che passa dal Meridionalismo del conterraneo Salvemini per sfociare nel socialismo che sarà la sua fede politica, seppur con alcune importanti frizioni interne.
Di Vagno non farà in tempo a vedere cosa di lì a poco il fascismo sarebbe diventato ma di certo ne ebbe una chiara intuizione. A Fare luce su questa figura lavora con passione la Fondazione Giuseppe Di Vagno, guidata da Gianvito Mastroleo, ex dirigente socialista e già presidente della Provincia di Bari.
Presidente, il libro di Fulvio Colucci, "Giuseppe Di Vagno. Martire socialista" (Radici Future) supera la visione celebrativa mettendo al centro la sua formazione e restituendogli spessore...
«Senza che ci fossimo consultati prima Fulvio Colucci ha saputo interpretare lo spirito del Centenario Di Vagno che ha consentito al Ministro della Cultura d'istituire il Comitato nazionale: un percorso ormai biennale che, di là dalla pur doverosa rievocazione della figura di Giuseppe Di Vagno, s'inerpica nella rivisitazione del nuovo blocco sociale, fra il 1919 e il 1922, all'interno del quale quel delitto si colloca, dei suoi presupposti e gli effetti tragici costati all'Italia sempre più sangue e incolpevoli vittime. Questo ha fatto anche Colucci ridisegnando completamente Di Vagno nella sua dimensione politica e culturale e di grande giornalista come a lui piace dire, quasi per spirito di corpo, con una operazione nella quale le note biografiche appaiono come un pretesto per ri- disegnare quel grande e assai complesso scenario politico, storico e letterario che furono gli anni tra la fine della guerra e la marcia su Roma, all'interno del quale riesce a collocarlo e assai magistralmente. Sul quale occorrerà ancora indagare».
Ci sono aspetti fondamentali che riguardano il contesto storico in cui la figura di Di Vagno è germogliata. Un contesto turbolento che vedeva per la prima volta messo in discussione il potere assoluto degli agrari.
«Proprio ieri a Bari nel Convegno all'interno del Centenario 1919-1922 lotta per l'egemonia e costruzione di un nuovo blocco sociale e d'intesa con l'Università, la prof.ssa Simona Colarizi nella sua relazione ha illustrato ampiamente che il fascismo malattia morale del 900 (Croce) ha il suo marchio d'origine nella violenza e che pertanto deve definirsi come una banda criminale, i cui ras erano sostenuti anche con armi e mezzo di trasporto dagli agrari e con la complicità delle istituzioni. Nessun'altra definizione rende meglio la situazione».
Da Fiore a Matteotti, nella sua breve vita Giuseppe Di Vagno ha incrociato le esistenze di personaggi fondamentali del periodo. Politicamente, chi fu a influenzarlo maggiormente?
«Era tutte, la figura che più ha influenzato Di Vagno va ricordato Filippo Turati che non a caso ne scolpisce la statura con parole elevate, assieme al presagio della sua resurrezione con la giustizia pia del lavoro nella lapide celebrativa collocata nella facciata del Comune di Conversano».
Eppure di questo eroe pugliese non tutti conoscono le imprese. È morto troppo presto?
«Certo, Di Vagno è morto troppo presto e grandi cose avrebbe realizzato se non fosse morto: anzi, proprio per questo i ras del fascismo ne decretarono quella morte che cercarono in varie occasioni e ad ogni costo: delle cui minacce Di Vagno, seguendo l'ammonimento di Abramo Lincoln, non si curò. Dopo il tragico evento, del quale ben presto furono comprese le vere ragioni, da Gramsci a Turati, al movimento anarchico, alla maggioranza del mondo socialista, e in particolare dopo l'assoluzione degli autori del delitto per aver agito per fini nazionali, la figura ha subìto una certa marginalizzazione storiografica, anche se è sopravvissuta molto intensa la memoria nell'immaginario popolare e del mondo contadino della Puglia».
La fondazione da lei guidata si impegna non solo a diffondere la memoria di Di Vagno ma anche a collocarla nella storia socialista e della sinistra italiana...
«È per l'opera ormai ultra ventennale della Fondazione Di Vagno, e sotto la spinta di storici come la Colarizi e Gaetano Arfè, che attorno alla sua figura sono ripresi gli studi e la ricerca storica: la morte di Di Vagno fu decretata dal fascismo agrario della Puglia perché Mussolini, che pure aveva firmato il patto di pacificazione, doveva cedere sul piano della violenza senza alcuna possibilità di accordi politici, e senza farsi prendere da alcuna reazione legalitaria. Il potere andava conquistato tutto, subito e ad ogni costo: questo premeva, e l'eliminazione fisica di un obiettivo alto, come un Deputato e per la prima volta nella storia, era l'unico salvacondotto».
La fondazione da lei guidata s’impegna non solo a diffondere la memoria di Di Vagno ma anche a collocarla nella storia socialista e della sinistra italiana. A tal proposito l'idea dell'archivio e le tante iniziative in piedi. Quale sarà la prossima?
«La missione fondamentale della Fondazione è la presentazione dall’oblio della Memoria nella convinzione che quella, la conoscenza del passato, è il miglior nutrimento per il futuro; l’antifascismo perseguito con intransigenza culturale dalla Fondazione serve in questo particolare momento storico quando occorre riconoscere ed isolare i conati dell’antipolitica che rischiano di portare al collasso il sistema, abbracciando il populismo che si nutre della crisi dei partiti, dei corpi intermedi, e delle forze sociali organizzate. Il nostro sforzo oggi, attraverso il vasto programma annuale “I Granai del sapere”, mira a isolare e a mettere in guardia in particolare i nostri giovani contro il dilagante mix di xenofobia e nazionalismo demagogico: insomma contro coloro che vorrebbero chiudere i porti o preferirebbero buttare a mare i migranti, se non negare (usando violenza e profittando della complicità - a volte inconsapevole - dei mezzi di comunicazione) di verità scientifiche del tutto inoppugnabili: o di chi, alle porte d’Oriente della nostra Europa, costringe al freddo e alla fame una massa di disperati. L’Archivio dedicato alla politica e agli uomini politici non solo socialisti, non a caso, ormai si colloca fra i più importanti fra quelli privati del mezzogiorno ed è aperto agli studiosi, senza alcuna gelosia, ma viene divulgato in particolare fra i giovani. L’esperienza proprio di ieri, con l’Aula Aldo Moro dell’Università piena di giovani molto attenti con i loro docenti, sancisce senza appello che verso di loro debbono essere rivolte tutte le nostre attenzioni».
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