«Erano lo specchio della realtà Ma oggi sarebbero impossibili»

«Erano lo specchio della realtà Ma oggi sarebbero impossibili»
di Eraldo MARTUCCI
3 Minuti di Lettura
Domenica 8 Novembre 2020, 16:38

«Un ricordo straordinario per dei film che avevano la spensieratezza e la morale di quegli anni. Abbiamo cantato e filmato l'epoca del boom economico, di chi si inventava il lavoro giorno dopo giorno. Il tutto con al centro la bellezza e la pulizia delle storie d'amore. Oggi tutto questo sarebbe impossibile da realizzare».


Così Al Bano ricorda quel mondo del musicarello che l'ha visto tra i massimi protagonisti della seconda metà degli anni '60. Tanti i successi che contribuirono in maniera determinate alla sua notorietà, a partire dal primo film, Nel sole del 1967.


Al Bano, come visse il suo debutto nel mondo della celluloide?


«Mi sono divertito tantissimo, ma all'inizio ero molto preoccupato. Poi il grande produttore Gilberto Carbone mi rassicurò e mi disse che il regista era molto bravo e che c'era un cast eccezionale che comprendeva, fra gli altri, Nino Taranto, Antonella Steni, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Enrico Montesano, Loretta Goggi e, ma questa e storia nota, Romina Power. Io non sapevo assolutamente chi fosse Romina né tanto meno lei sapeva nulla di me. Ma la vita è sempre sorprendente!».


Ricorda particolari difficoltà durante le riprese?


«No, anche perchè di fatto tagliarono su di me la trama. Dovevo interpretare lo studente, e ovviamente lo ero stato. Dovevo calarmi nei panni del cameriere, e io avevo lavorato proprio come cameriere. L'unica cosa che non avevo fatto era il finto ricco. Ma devo ancora ricordare l'incontro con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, con cui avrei successivamente girato un altro film. Un'esperienza straordinaria perché sono stati due meravigliosi attori e due campioni del cinema: è stata una gioia conoscerli e lavorarci insieme, e poi siamo diventati amici».


Un debutto a cui seguirono altri successi...


«Sì, anche perché anno dopo anno mi appassionai sempre di più a tal punto che nel 1970 feci un film veramente bello, Angeli senza paradiso, diretto da Ettore Maria Fizzarotti, sulla vita di Franz Schubert.

Ormai avevo imparato i trucchi del mestiere, i tempi, l'andamento delle luci».


I suoi film, come quelli che avevano come protagonisti altri suoi celebri colleghi, erano quasi sempre premiati dal successo di pubblico e di botteghino. Una bella soddisfazione...


«Infatti. È stato sempre Carbone, che aveva anche lavorato con Celentano e Morandi, a dirmi una volta che questi musicarelli facevano un sacco di soldi poi investiti in film come ad esempio Il gattopardo: tutti bellissimi, per carità, ma realizzati grazie anche agli aiuti finanziari che arrivano dal nostro cinema. A qualcosa siamo serviti!».


Erano film fondati sul conflitto generazionale, culturale e musicale fra giovani e adulti. Con lo sguardo di oggi come li vede e, soprattutto, come si rivede?


«Quel genere era certamente lo specchio della realtà di allora. Alla base di tutto c'era il successo delle nostre canzoni, e ciascuno di noi aveva ovviamente le proprie caratteristiche e specificità. Onestamente a quell'epoca non capivo esattamente che cosa stessi facendo e non capivo l'importanza sociale di quel genere. Oggi ci penserei molto di più e metterei altre regole. Ma è andata così, con tanto divertimento e qualche sofferenza».


Ricorda qualche altro episodio particolare dei suoi film?


«Nel 1969 girammo Pensando a te, che era il titolo della canzone con cui avevo vinto quell'anno il Disco per l'Estate. Un botto enorme con vendite enormi del 45 giri. Ebbene, quella pellicola segnò il debutto di Paolo Villaggio».

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