Addio alla Lupo Editore, il sogno dei libri svanito tra i conti

Addio alla Lupo Editore, il sogno dei libri svanito tra i conti
di Alessandra LUPO
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Martedì 2 Gennaio 2018, 18:52 - Ultimo aggiornamento: 19:58
Della crisi dell’editoria si sente parlare da anni e anche dei numeri sempre più esigui di lettori di libri, soprattutto al Sud, soprattutto in Puglia. Ma quando è un’attività che chiude i battenti tocchiamo con mano la trasformazione in atto e forse ci fa più paura. Succede così che con un post su Facebook, proprio nel giorno di Capodanno, l’editore salentino Lupo annuncia la chiusura delle sua attività, dopo 25 anni di storia.
Con all’attivo circa 700 titoli, la casa editrice di Copertino, tra le più innovative del Salento, dal 2018 sarà solo un ricordo. I motivi sono facili da immaginare: i conti che non tornano più e a furia di perdite economiche e di collaboratori alla fine la decisione di gettare la spugna.
Quello di Cosimo Lupo è il racconto di un sogno infranto sullo scoglio del mercato, senza dubbio, ma in qualche modo forse anche su quello di una scarsa sensibilità generale del settore, che nel tempo sembra aver in gran parte rinunciato gli aspetti poetici e sognanti per fare i conti con la dura legge dei numeri. «Con il lavoro che avevo scelto di fare, mi aspettavo che la mia vita sarebbe stata diversa - scrive Cosimo Lupo, 54 anni e oggi anche assessore alla Cultura del suo comune, Copertino -. Mi immaginavo lunghe giornate a leggere manoscritti che avrebbero cambiato la storia della letteratura, conversazioni rivoluzionarie con scrittori illuminati, riunioni di redazione che sarebbero proseguite con memorabili serate in trattoria. Avevo creduto di poter ripetere facilmente l’esperienza dell’Einaudi di Vittorini, Calvino, Pavese, Valentino Bompiani. Avevo dimenticato che l’editore non è solo un appassionato di libri - prosegue Lupo nel suo amaro post -, un animatore culturale, ma è fondamentalmente un imprenditore, con tanto di partita Iva, versamenti Inps, obblighi fiscali, studi di settore, Istat, banche, Equitalia, bilanci depositati, cravattari, faccendieri, ecc. ecc. ... (cit)».
Una decina di anni fa, Lupo - che per seguire il sogno aveva lasciato il posto in banca - aveva già affrontato il problema stringente del denaro, vendendo la tipografia e risanando in parte la casa editrice, che durante la sua vita ha portato a casa non poche soddisfazioni: nel suo catalogo ci sono libri diventati dei piccoli cult non solo locali. Ci sono produzioni musicali e poetiche. C’è il successo dell’editoria per bambini, con duecento titoli all’attivo, e il giornale illustrato “Un, due, tre: stella!”, vera perla che avrebbe meritato una diffusione davvero capillare. Per non parlare della narrativa d’avanguardia, tipo quella affidata al senzatetto Maxim Cristan, che diede alla luce un piccolo fenomeno editoriale “Fanculo Pensiero”, immediatamente inglobato da Feltrinelli (con cui Lupo perse anche la causa per i diritti). Ingenuità? «Forse sì, sono abituato a una stretta di mano come contratto, ma dagli errori si impara sempre. D’altronde quando si investe su un libro si investe sempre su una persona e quindi si accetta l’imprevedibile».
Cosa sta facendo fallire la piccola editoria, oltre ai lettori che scarseggiano? «La piccola editoria sta morendo sotto i colpi dell’editoria fai-da-te, in primis. Si pensi che basta inviare un testo a un indirizzo internet, pagare e vederlo diventare un libro. Senza nessun filtro. E poi c’è Amazon e il commercio online che fa il resto». L’editore può organizzarsi per resistere. Ma a che prezzo? «Ho provato con la grande distribuzione, che porta i libri in tutto il territorio nazionale ma le condizioni sono di lasciare il 60% del prezzo di copertina a loro e se si toglie il costo del volume e il compenso dell’autore resta più o meno un euro a libro, un caffè, ammesso che si vendano!».
E poi c’è il capitolo tasse: i contributi restano uguali per tutti gli artigiani e l’accesso al credito non è affatto facile. Lupo parla di “cravattari” ma è inevitabile che si ricorra a prestiti personali o comunque a formule di fortuna, specie se si scommette sull’autore senza chiedere soldi per la stampa. «Ho cercato di non farlo fino all’ultimo periodo, il più buio, in cui abbiamo dovuto chiedere anche noi un contributo spese tramite acquisto delle copie. Ma non credo che chi si fa pagare faccia qualcosa di brutto, semplicemente fa i conti con la realtà. Nel mio deposito ci sono circa 100 mila volumi, ma sono destinati al macero. I miei autori spesso non sono scrittori, ma gente che ha scritto un buon libro e pochi hanno proseguito. Alcuni hanno “cambiato hobby” e chi ha avuto successo ha cambiato editore». Ingratitudine? «No, normali incomprensioni: a volte mi dispiaceva così tanto che un libro non vendesse che per non deludere l’autore gli pagavo qualche copia in più. Ma ci sono stati anche autori che invece credevano che la casa editrice “facesse la cresta”. A volte si scaricano le proprie frustrazioni sul prossimo, ma credo sia umano. In pochi fanno autocritica e forse io sono un po’ stanco anche di questo».
Che sia un sognatore non è un segreto, basti pensare che Winspeare lo ha voluto anche tra le comparse doc del suo ultimo film, inno alla forza dell’idealismo, ambientato nella estatica “Disperata”. Meglio la politica? «Sì, è diventata il mio rifugio e ha in qualche modo incanalato le mie energie culturali. Ma chiudere la casa editrice è per me un grande lutto: oggi ho trovato il coraggio di dire basta al mio più grande amore».
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