Di Vagno, torna la targa “cancellata” dal fascismo

Di Vagno, torna la targa “cancellata” dal fascismo
di Claudia PRESICCE
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Venerdì 7 Ottobre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 14:40

La storia non si cancella. Non si rimuove, soprattutto quando racconta di uomini perbene morti per le loro idee di libertà, esposti in prima persona contro l’avanzata di una dittatura feroce come quella fascista. E per questo oggi si festeggia in Puglia. Una lapide, che ricordava un brutale assassinio politico e venne rimossa dai fascisti, oggi finalmente, cento anni dopo, tornerà nella sua iniziale collocazione. Sarà un modo per ricordare la storia di Giuseppe Di Vagno, recuperarla dalle pieghe del tempo dove spesso, senza simboli tangibili, molte cose vengono ingoiate, smussate. Ma andiamo con ordine, partendo dal lieto fine. 

La Fondazione Giuseppe Di Vagno di Conversano ha recuperato la storia di una targa dimenticata, affissa ad Acquaviva delle Fonti nel ’22, dedicata al politico socialista, il primo parlamentare ucciso dal regime fascista pochi mesi prima. L’ha ricostruita su una nuova pietra, e presto tornerà al suo posto. Da oggi infatti alle 18 prenderà il via ad Acquaviva delle Fonti “L’altra storia”, una rassegna che fino al 13 ottobre porterà a celebrare Di Vagno insieme a due grandi protagonisti della storiografia pugliese: Antonio Lucarelli e Cesare Colafemmina. L’appuntamento è a Palazzo dei Mari dove si potrà rivedere la targa dedicata dal Comune di Acquaviva a Giuseppe Di Vagno dopo il suo assassinio. 

Il suo impegno nelle lotte contadine e bracciantili e sui problemi legati al latifondismo

La parabola umana di Giuseppe Di Vagno iniziò a Conversano nel 1889. Dopo il liceo in città, già come studente di Giurisprudenza a Roma Di Vagno si andò avvicinando alla politica, iscrivendosi al Partito Socialista Italiano nel 1912. Figlio di un’agiata famiglia contadina, piuttosto che all’avvocatura che sarebbe stata la professione connessa ai suoi studi, dopo la laurea scelse la politica. Infatti tornato presto in Puglia, si dedicò alle lotte contadine e bracciantili, ai problemi legati al latifondismo, e nel ’14 diventò consigliere provinciale a Bari. Dopo la prima guerra mondiale, Di Vagno si legò fortemente alle idee di Gaetano Salvemini e proseguì la sua militanza anche senza poter partecipare alle elezioni del ‘19, ma nel ’20 venne eletto direttore dell’organo della Federazione socialista di Bari “Puglia rossa”. 

Filippo Turati lo aveva definito “gigante buono” data la sua prestanza fisica che corrispondeva peraltro a un atteggiamento tutt’altro che bellicoso. Erano gli anni in cui i venti fascisti cominciavano a soffiare con prepotenza e nel febbraio del ’20 Di Vagno, evidentemente considerato temibile per il suo seguito e la sua personalità, cominciò a essere preso di mira. In particolare si volle vedere in lui uno dei responsabili di uno sciopero generale organizzato a Conversano, a cui non aveva neanche partecipato, e venne perciò allontanato dalla sua città. Quando nel maggio del ’21 divenne deputato socialista ed entrò in Parlamento come segretario della Commissione Giustizia, iniziarono diverse aggressioni da parte delle squadre fasciste del barese, con attentati alla sua vita e a chi gli era vicino in manifestazioni e comizi.

I suoi assassini impuniti grazie all'amnistia voluta da Mussolini

E fu il 25 settembre del ’21 a Mola di Bari che, alla fine di un comizio, venne colpito alle spalle da due colpi di pistola di un gruppo fascista armato. Morì il giorno dopo in ospedale, mentre i suoi assassini la fecero franca, si disse, per mancanza di prove. Ma fu soprattutto l’amnistia voluta da Mussolini per i “crimini in favore dello stato fascista” ad agevolarli. 

Dopo l’omicidio, l’aria, per quanto inquinata, non era ancora paralizzata dal regime: c’erano sprazzi di luce minima ancora accesi. Nel marzo del ’22 infatti il Consiglio comunale di Acquaviva delle Fonti, dopo una decisa battaglia interna, decise di approvare la richiesta di intitolare una targa dedicata al politico assassinato pochi mesi prima a Mola di Bari. Fu un modo per richiamare l’attenzione verso la deriva della politica di quel tempo, con una condanna netta per quell’omicidio. Così la lapide alla memoria trovò degno spazio su una parete del Palazzo comunale. Ma arrivò il tempo della marcia su Roma e, tra le tante manifestazioni di oppressione degli ideali di libertà, il regime fece rimuovere quella lapide.

Non se ne ebbe più notizia, sparì chissà dove. Qualche ricordo restò solo tra chi c’era in quei giorni, finché c’era.

Il resto è la storia che riconduce al lavoro, di un secolo dopo, della Fondazione Giuseppe Di Vagno di Conversano: recuperate le iscrizioni, l’epigrafe è stata ricostruita su una nuova pietra e tornerà proprio su quel muro da cui era stata rimossa. 

Domani, sempre per la rassegna “L’Altra storia”, si parlerà invece di Antonio Lucarelli, lo storico meridionalista di Acquaviva delle Fonti (1874-1952) a 70 anni dalla sua scomparsa. Si occupò molto di storia del socialismo e del movimento operaio, ma anche del brigantaggio in Puglia e fu animatore nel 1943 dell’Istituto di Cultura Socialista “Giuseppe Di Vagno” di Bari. 
Di Cesare Colafemmina, storico, scrittore e docente di Epigrafia e Antichità Ebraiche all’Università di Bari, si parlerà domenica.

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