Troppi anglicismi, #dilloinitaliano: l’Accademia della Crusca lancerà un sito ad hoc

Troppi anglicismi, #dilloinitaliano: l’Accademia della Crusca lancerà un sito ad hoc
di Giulia Aubry
2 Minuti di Lettura
Giovedì 12 Marzo 2015, 10:57
Salviamo la lingua italiana. Con questo grido la rete – attraverso il sito Change.org – si è rivolta all’Accademia della Crusca, l'istituto nazionale per la salvaguardia e lo studio del nostro idioma, affinché si facesse portavoce e autorevole testimone - presso il governo, le amministrazioni pubbliche, i media, le imprese - della necessità di “dirlo in italiano”.



L’idea è venuta ad Annamaria Testa – pubblicitaria, creativa e docente universitaria – “scossa” dall’uso (e abuso) di termini anglofoni negli atti pubblici, nei giornali, nella scrittura quotidiana. “Perché dire “form” quando si può dire modulo, “jobs act” quando si può dire legge sul lavoro, “market share” quando si può dire quota di mercato?”, si è interrogata la Testa. E a sostenere la sua posizione sono arrivate oltre 70.000 firme in poche ore.



In fondo – dati alla mano - la lingua italiana è la quarta più studiata al mondo. E le parole italiane portano con sé la nostra cultura. Una cultura bella e raffinata anche nelle sue declinazioni popolari. Dove sono finiti i tempi in cui gli statunitensi per abbellire le loro canzoni inserivano parole italiane, più belle e musicali delle loro e non avveniva mai (o quasi) il contrario?



Alle mille domande sollevate, implicitamente ed esplicitamente, da Annamaria (ma sempre con un unico e solo obiettivo, difendere l’italica eloquenza) non ha tardato a rispondere Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca che si è impegnato a lanciare, nelle prossime settimane, «un sito internet, di facile accesso e consultazione, per aiutare tutti a orientarsi tra vecchie e nuove parole straniere entrate nel nostro lessico, per capire quali sono i significati, gli usi, le alternative valide e possibili».



Non andremo a lezione di “itanglese”, quel gergo che ci rende spesso un po’ goffi nell’espressione scritta e parlata. Piuttosto, e senza in alcun modo fare guerra alla lingua di Shakespeare, scopriremo da «parlanti italiani», come ci definisce Marazzini, che esistono parole “nostrane” utilizzabili, comode e trasparenti. Potremo così essere noi per primi a farci promotori della grande ricchezza lessicale ed espressiva della nostra lingua.



Un bello strumento di conoscenza e condivisione, che si affiancherà all’Osservatorio sui neologismi incipienti, e fungerà da pungolo per sollecitare Governo, Pubbliche Amministrazioni, media e imprese a un uso più consapevole della lingua italiana. Perché a quanto pare è proprio il nostro governo, soprattutto negli ultimi anni, ad abusare un po’ troppo di anglismi e neologismi di “dubbio” (o almeno non piacevole) gusto.



Senza “taskare” più nessuno, “schedulare” gli appuntamenti, “staffare” il personale, riempendo moduli, curando la soddisfazione dell’utente e accedendo a quote di mercato, forse riscopriremo davvero quanto è bella la lingua di Dante e Galileo, di Manzoni e Leopardi, di Fellini e Sorrentino. Così da parafrasare quest’ultimo che, di fronte alle critiche mossegli dopo il discorso di ringraziamento alla cerimonia degli Oscar 2014, ha commentato con un sorriso: «Certo ci sarà gente che parla l’inglese meglio di me. Però io ho vinto un Oscar».