«Rivolta, poi botte e torture in cella»,
l'ira dei 57 agenti indagati a Caserta

«Rivolta, poi botte e torture in cella», l'ira dei 57 agenti indagati a Caserta
di Mary Liguori
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Venerdì 12 Giugno 2020, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 13:39

Inviato a Santa Maria Capua Vetere

L’8 marzo furono i detenuti a barricarsi sui tetti del penitenziario per chiedere maggiori tutele anticovid. Ieri, sono stati gli agenti di polizia penitenziaria a salire sulle terrazze dell’istituto per manifestare tutto il loro disappunto per l’indagine aperta nei confronti di 57 di loro, incluso il comandante, per le ipotesi di reato di tortura, abuso di autorità e violenza. E, nel pomeriggio, a dare man forte ai secondini, è arrivato Matteo Salvini. «Ho lasciato tutto per essere qui con voi: i servitori dello Stato non possono essere trattati come delinquenti e venir derisi dai detenuti: servono pistole elettriche e telecamere nelle carceri». Il leader della Lega ha definito «una schifezza» i metodi usati dalla Procura di Santa Maria e dai carabinieri del comando provinciale di Caserta che, ieri mattina, hanno eseguito, coordinati sul posto dal procuratore aggiunto Alessandro Milita e dai pm Daniela Pannone e Maria Pinto, un decreto di perquisizione e sequestro nei confronti di 57 agenti che avrebbero preso parte al «rastrellamento» la notte del 6 aprile ai danni dei detenuti.

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Anche la Procura generale si sta interessando del caso: il pg di Napoli, Luigi Riello, ha chiesto una relazione su quanto accaduto ieri al procuratore di Santa Maria Capua Vetere e ai vertici regionali dell’Arma dei Carabinieri. «Matteo, solo tu ci puoi salvare», hanno urlato gli agenti che poi si sono riuniti in assemblea con Salvini. Al termine dell’incontro, durato 40 minuti, il leader della Lega non ha risparmiato una stoccata al garante dei detenuti, Samuele Ciambriello: «Le proteste non si sedano con le margherite», ha detto. «Questo il garante dovrebbe saperlo. Non entro nel merito dell’indagine, ma ho saputo che alcuni degli agenti indagati non erano nemmeno presenti al lavoro quel giorno, eppure sono accusati di essere dei torturatori», ha aggiunto Salvini che è andato via rifiutandosi di rispondere alle domande sul futuro del centrodestra campano in vista delle Regionali. «Sono qui solo per esprimere la mia solidarietà alla polizia penitenziaria», ha chiuso prima di ripartire per Roma. Poco dopo la reazione del M5s che, attraverso i parlamentari campani, ha definito Salvini «sciacallo».
 

 

Contestano i «metodi» utilizzati ieri mattina, i sindacati. Ma cosa è realmente successo a Santa Maria Capua Vetere? Durante la mattinata, è stato chiarito dal comando provinciale di Caserta dei carabinieri e dalla Procura diretta da Maria Antonietta Troncone, dodici militari in borghese sono andati al penitenziario per acquisire atti e sequestrare i cellulari degli agenti. Nelle aree esterne, sono state chieste le generalità a un paio di poliziotti, in quel momento arrivati per prendere servizio. È accaduto di fronte al cancello riservato ai parenti dei detenuti che hanno ripreso la scena con i cellulari. Tutte le operazioni eseguite dai carabinieri, incluso il sequestro dei cellulari, si sono svolte poi all’interno degli uffici del carcere e nel «massimo rispetto» hanno fatto sapere dal comando provinciale. Ciononostante, il Sappe ha parlato di «grave violazione della privacy» mentre il Dap ha espresso «massimo rispetto per la magistratura e rispettoso riconoscimento alla polizia penitenziaria: siamo certi che si farà chiarezza in tempi brevi». 
 

Per comprendere la giornata di passione che si è vissuta ieri nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, bisogna fare un passo indietro di tre mesi quando, in contemporanea con numerose altre carceri d’Italia, anche all’Uccella è avvenuta una protesta tesa ad ottenere maggiori tutele anticontagio e, soprattutto, scarcerazioni. Quel giorno, una quindicina di detenuti si barricò sui tetti, mentre gli ospiti dell’Alta sicurezza devastarono il reparto. Nelle settimane successive, furono i parenti dei detenuti a protestare ancora: avvenne dopo che un medico, due infermieri e tre carcerati furono trovati positivi al Covid. Da quel momento, fu un crescendo di tensione fino ad arrivare ai nebulosi fatti del 6 aprile, data nella quale si sarebbero verificati i pestaggi sui quali oggi indaga la Procura. Quella notte, anche a causa dello stop alle videochiamate che stavano sostituendo gli incontri con i familiari, vietati a causa della pandemia in corso, i detenuti picchiarono con mestoli e scodelle contro le sbarre fino a mezzanotte. Il giorno dopo, ottennero di incontrare i magistrati di sorveglianza. Nei giorni seguenti, la polizia penitenziaria rese noto che nelle celle erano state trovate armi rudimentali, lame e telefonini. Nelle stesse ore, diversi detenuti facevano trapelare la notizia dei pestaggi, avvenuti non durante la rivolta, e quindi per sedare la stessa, ma di notte, e quindi «a freddo», come una vera spedizione punitiva. Ed è su questo che la Procura intende gettar luce. Oltre ai racconti dei carcerati e dei loro familiari, i carabinieri hanno acquisito altri elementi a carico degli agenti. Elementi tali da far ipotizzare il reato di tortura. 
 

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