Blitz antiterrorismo in Puglia, cellula vicina agli attentatori di Charlie Hebdo

Blitz antiterrorismo cellula pakistana
Blitz antiterrorismo cellula pakistana
di Alessandra Lupo
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Martedì 7 Giugno 2022, 18:03 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 20:26

Blitz antiterrorismo della Polizia di Stato nei confronti di una cellula composta da cittadini pachistani che secondo l'accusa operava sia in Italia che in altri paesi europei e collegata ad un network più ampio chiamato 'Gruppo Gabar', a sua volta legato a Zaheer Hassan Mahmoud, il 27enne che a settembre del 2020 attaccò la ex sede del giornale satirico Charlie Hebdo a Parigi, ferendo a colpi di mannaia due persone. Due arresti sono stati eseguiti dalla Digos nella provincia di Brindisi e in quella di Bari.

Le accuse

Sono complessivamente 14 le misure cautelari emesse dal Gip di Genova ed eseguite sia in Italia sia all'estero. L'accusa nei loro confronti è di associazione con finalità di terrorismo internazionale.

L'indagine è stata coordinata dalla Dda di Genova e svolta dalla Digos e dall'Antiterrorismo, con il coinvolgimento degli uffici antiterrorismo di Spagna e Francia coordinati dall'European counter terrorismo centre di Europol. Indagini che hanno consentito di accertare l'esistenza della cellula, operativa in diverse province italiane e in alcuni paesi Europei, riconducibile ad un gruppo più ampio composto sempre da pachistani, tutti contatti di Zaheer Hassan Mahmoud. Quest'ultimo, il 25 settembre del 2020, si presentò con una mannaia in mano davanti all'edificio che aveva ospitato Charlie Hebdo fino all'attentato del gennaio 2015 in cui morirono 12 persone: dopo l'arresto disse agli investigatori di voler punire il giornale satirico per la nuova pubblicazione delle caricature di Maometto, senza però sapere che la redazione aveva traslocato. Dall'attentato del 2015, infatti, la sede di Charlie è in un luogo segreto e protetto. Quella mattina di settembre 2020 Mahmoud ferì dunque un uomo di 36 anni e una donna di 28, due dipendenti di un'agenzia stampa che aveva la sede nel palazzo e che erano scesi a fumare una sigaretta.

Su social video con machete e coltelli 


Brandiva machete o coltelli di grandi dimensioni mimando insieme agli altri il "taglio della gola" per strada o dentro abitazioni il capo della cellula terroristica pakistana sgominata dalla Digos e dall'Antiterrorismo. E' quanto emerge da video postati sui social. Spesso appare avvolto da tunica e copricapo neri mentre recita testi inneggianti alla violenza oppure mentre è in compagnia di connazionali. L'inchiesta ha avuto il punto di svolta con il rientro in Italia, nell'aprile dello scorso anno, del principale indagato, il pachistano di 25 anni, già in precedenza domiciliato a Chiavari, dove aveva fatto rientro subito dopo la riammissione dalla Francia, prima di trasferirsi in provincia di Reggio Emilia. Nel Paese transalpino era stato arrestato due mesi prima per porto in luogo pubblico di un grosso coltello. Dalle indagini, coordinate dalla procura di Genova, è emersa una pubblicazione continua di video e post apologetici e violenti riconducibili alla cellula, ramificata in diverse province italiane e in alcuni Paesi europei, riconducibile a un più ampio gruppo di giovani pakistani, auto-denominatosi "Gruppo Gabar ", tutti facenti parte dei contatti diretti dell'attentatore di Charlie Hebdo. Oltre alle manifestazioni di vicinanza all'autore dell'attacco di Parigi, anche lui membro del Gruppo Gabar Francia, e di piena condivisione delle motivazioni che lo avevano indotto a passare all'azione, l'indagine ha consentito di delineare il substrato ideologico/confessionale dei sodali, continuamente protesi a diffondere online dottrine religiose improntate alla violenza e con una forte visione antioccidentale, in piena aderenza alla linea di predicatori che incitano all'uccisione di coloro che si "macchiano" di blasfemia.

Il leader era un rifugiato

 Il leader della cellula pakistana sgominata dalla Digos genovese e dall'Antiterrorismo aveva ottenuto lo status di rifugiato in Italia nel 2015. È quanto emerge dalle indagini che hanno portato all'arresto di 14 persone. "Si tratta di una delle operazioni - ha sottolineato Diego Parente capo della Direzione centrale polizia di prevenzione - contro il radicalismo islamico tra le più importanti in Italia. Ha una dimensione europea".

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