Sognava la cittadinanza, si toglie la vita. L'ex sindaco: «Perdonaci per ciò che non abbiamo fatto»

Sognava la cittadinanza, si toglie la vita. L'ex sindaco: «Perdonaci per ciò che non abbiamo fatto»
di Cristina PEDE
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Martedì 9 Novembre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 11:39

Cercava la cittadinanza italiana, voleva ottenerla anche a costo della sua stessa vita, ed è morta suicida Adelina Sejdini, la donna di origini albanesi che ha vissuto per un lungo periodo a San Pietro Vernotico e che da oltre vent’anni combatteva il racket della prostituzione. Il suo unico desiderio era di essere cittadina italiana, quella cittadinanza che diceva spettarle di diritto «dopo aver dato lustro all’Italia e alle istituzioni». Si è gettata dal ponte Garibaldi a Roma, sabato scorso, dopo essere rimasta per ore sulle scale del Viminale in attesa che qualcuno la ricevesse. Sulle spalle aveva il tricolore, su quelle spalle sentiva il peso dello sfruttamento per le donne che provengono da altri Paesi. Da quando si era ammalata di cancro al seno, aveva dovuto chiedere più volte aiuto tra i conoscenti per poter sostenere le spese mediche e la residenza a Pavia dove era stata operata. La rete di solidarietà si era sempre più affievolita nel tempo.

L’ex sindaco di Torchiarolo, Flavio Caretto, che in diverse occasioni l’aveva sostenuta, le aveva fatto sentire al sua vicinanza fino a pochi giorni fa anche con messaggi di incoraggiamento. E oggi dice: «Chiedo scusa per quello che non siamo riusciti a fare per te». Lei lo definiva «il sindaco socialmente utile».
Adelina aveva fatto arrestare circa quaranta suoi connazionali collaborando con le forze dell’ordine, spronata da un cliente che aveva intuito i maltrattamenti che subiva e per questo, probabilmente, la sua famiglia di origine in Albania l’aveva rinnegata temendo ritorsioni da parte della criminalità organizzata albanese. Ma lei in Albania non ci voleva tornare e non voleva esserne cittadina, si sentiva italiana, si rivolgeva ai poliziotti e ai carabinieri definendoli “i miei angeli” e voleva le venisse riconosciuto il merito di aver “liberato” tante altre giovani dallo sfruttamento della prostituzione.

Il calvario

La sua storia era stata raccontata anche nel libro “Libera” pubblicato nel 2005. La cittadinanza italiana però non l’aveva mai ottenuta e per questo non le venivano riconosciuti alcuni diritti, costringendola a rivolgersi ad associazioni che operano nel sociale. A San Pietro viveva in una casa famiglia e se poteva si occupava di altri disagiati che come lei avevano bisogno di essere sostenuti nel quotidiano. Raccontava la sua storia quando ne aveva l’occasione, negli eventi locali e sosteneva la necessità per i vari enti di fare rete per salvaguardare le donne vittime di qualsiasi violenza.

La malattia, scoperta quando era già in stadio avanzato, non le aveva fatto perdere la voglia di combattere nonostante le difficoltà. Aveva affrontato da sola le operazioni e le terapie senza perdersi d’animo fino all’ultimo, quando in un video postato su Facebook, venerdì scorso, annunciava la volontà di farla finita per non aver potuto ottenere la cittadinanza italiana e per non esserle stato riconosciuto lo sforzo che aveva compiuto nel sociale, per aver collaborato con le forze dell’ordine e «aver dato lustro all’Italia».
Una disperazione che non ha trovato altra strada se non quella del suicidio; ci aveva provato già lo scorso 29 ottobre quando aveva tentato di darsi fuoco, sempre all’esterno del Viminale dove andava a chiedere aiuto e anche in quell’occasione non era stata creduta.

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