Due funzionari del Comune di Mesagne sono stati condannati a risarcire l'ente per i danni da fumo passivo provocati a un dipendente. La sentenza, citata nella relazione del procuratore generale della Corte dei Conti Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, è destinata a fare scuola vista la difficoltà di tanti enti pubblici a far rispettare le norme che impongono il divieto di fumo nei locali chiusi.
I fatti
Un dipendente del Comune, che ripetutamente aveva lamentato l'ambiente insalubre nel quale era costretto a lavorare, nei primi anni Duemila ha fatto causa all'ente, trascinandolo davanti al giudice del lavoro per i danni causati alla sua salute dall'aver respirato fumo passivo fra il 2005 e il 2010. L'uomo, cui in passato era stata già diagnosticata una patologia respiratoria, avrebbe dovuto evitare ambienti fumosi, umidi o polverosi e il giudice del lavoro gli ha dato ragione, condannado il Comune a risarcirlo con 10.953,00, oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese legali. A giugno del 2016 il Consiglio comunale riconobbe il debito fuori bilancio relativo alla somma pagata al dipendente a titolo di risarcimento, comprensiva di interessi e spese legali per un totale di circa 18.062 euro e la Procura della Corte dei Conti, sulla scorta di quel provvedimento, fece scattare il procedimento. Secondo la magistratura contabile, infatti, il pagamento di quella somma integrava un danno alle finanze comunali: dal comportamento dei suoi dipendenti fumatori e da coloro i quali avrebbero dovuto far rispettare il divieto di fumo – cioè gli incaricati alla sicurezza - l'ente avrebbe insomma subito un danno indiretto, da riparare.
Il giudizio contabile ha utilizzato anche testimonianze e perizie raccolte dal giudice civile: altri colleghi e i frequentatori abituali dell’ufficio, oltre che il consulente incaricato, avrebbero accertato «la sussistenza di una condizione di insalubrità degli ambienti di lavoro».
La sentenza
Due dei dipendenti citati in giudizio – difesi dagli avvocati Michele Caramia e Francesco Arigliano - sono stati prosciolti perché non avrebbero mai avuto diretta responsabilità di controllo sul rispetto delle norme in tema di sicurezza sul lavoro. Altri due, invece (uno contumace e l'altro difeso dall'avvocato Irene Vaglia) sono stati condannati a risarcire il Comune con 2.600 euro complessivi.
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