Il boss della Scu non si pente ma si converte: «Sono un altro uomo»

Musulmani in preghiera
Musulmani in preghiera
di Salvatore MORELLI
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Lunedì 6 Febbraio 2017, 16:33 - Ultimo aggiornamento: 16:38
Dall’affiliazione alla Sacra corona unita alla fede musulmana. È il caso di un detenuto, ex capo dei mesagnesi, condannato a oltre trent’anni di detenzione per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, rapina furto e altro. Oggi, dopo la conversione all’Islam, la “spavalderia” di un tempo è solo un ricordo: «Sono ormai un’altra persona», ha raccontato al personale carcerario dove risiede attualmente.
Si reca sempre per primo nella sala preghiera e spesso si intrattiene per molto tempo con il conduttore della preghiera dal quale si fa spiegare alcuni passi del Corano. In particolare, avrebbe riferito le seguente frase: «Da quando mi sono convertito all’Islam sto meglio perché questa religione non è quella che si vede in tv».
«Tra i detenuti musulmani ora è presente anche un condannato per mafia», spiega un rapporto dell’intelligence italiana su fenomeno della radicalizzazione in carcere. I dati sono stati evidenziati in un elenco segretato allegato all’“Analisi di contesto e scenario 2016”.
A quanto pare, il brindisino ha iniziato il suo processo di avvicinamento all’Islam durante la detenzione nel carcere di Trapani, abbracciando definitivamente la fede musulmana dopo il trasferimento all’istituto di San Gimignano (in provincia di Siena). Qui il “cambio di religione” sarebbe avvenuto mentre si trovava nella camera detentiva assieme a un detenuto di nazionalità marocchina e di fede musulmana, successivamente trasferito a seguito di un provvedimento di declassificazione.
In Italia, stando a recenti dati, nelle nostre carceri sono presenti circa 13.500 detenuti di fede musulmana, di cui 8.732 praticanti. I dati aggiornati al 15 gennaio 2015, tuttavia, fissano a 5.786 i detenuti di fede musulmana, dove emerge, che solo 52 istituti penitenziari sui 202 censiti si sono dotati di sale adibite a moschee dove i fedeli possono riunirsi in preghiera.
L’ex capo dei mesagnesi rientrerebbe ora in questa sorta di statistica nazionale. Durante un’udienza con il personale di polizia penitenziaria, il brindisino ha riferito che aveva iniziato una graduale conversione all’Islam già nell’istituto di Trapani che poi si sarebbe concretizzata in un secondo momento, “aiutato” dal fatto di occupare con un detenuto musulmano la medesima camera detentiva.
Ma quel che più sorprende gli operatori carcerari è il mutamento di carattere del detenuto. Descritto, durante le cronache del processo svolto presso il tribunale di Brindisi, come un personaggio spavaldo, pronto ad accogliere con una risata sprezzante la condanna a oltre trent’anni di galera. Oggi, il capocosca dei mesagnesi sembra  un’altra persona. Dall’osservazione attuata del detenuto si evince come il brindisino mantenga in carcere un processo corretto, dignitoso e riservato. Mutamenti caratteriali che hanno man mano portato l’uomo ad assumere atteggiamenti riservati e apparentemente distaccati.
Sono tredici i casi di detenuti italiani, tra cui una donna, convertiti all’Islam durante la reclusioni nelle patrie galere come evidenziati in un elenco in mano al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dedicato più che alle conversioni - possibili e legittime - al rischio di radicalizzazione nelle carceri. Un elenco che monitora la rete della predicazione gestita da detenuti stranieri che si auto-attribuiscono il ruolo di “imam” e che attrare non più solo detenuti di origine extracomunitaria e fa proseliti anche tra i reclusi italiani, come appunto è avvenuto con l’ex capo dei mesagnesi.
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