Nascite, tra le 11 province in crescita anche una pugliese: ecco quale

Nascite, tra le 11 province in crescita anche una pugliese: ecco quale
di Maria Chiara CRISCUOLO
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Martedì 4 Maggio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 20:06

L’Italia invecchia, la speranza di vita si abbassa e, cosa ancora più grave, non si ha più voglia di fare figli. La fotografia scattata dall’Istat e pubblicata nel report sugli indicatori demografici 2020 fa tremare i polsi. 
Il numero medio di figli per donna è pari a 1,24, il più basso dal 2003. Il 2020 ha segnato l’ennesima riduzione delle nascite che sembra non aver fine. Nel volgere di 12 anni si è passati da un picco relativo di 577 mila nati agli attuali 404mila, ben il 30% in meno. 

Il caso di Brindisi


Brindisi, però, sembra andare controcorrente. Il capoluogo, infatti, è tra le undici province nazionali (107 quelle esaminate), a registrare un incremento delle culle. L’unico segno più in una classifica regionale da profondo rosso. Non è dato sapere quale sia l’asso nella manica dei brindisini ma una cosa è certa: in città la pandemia non ha spento la voglia di procreare e progettare il futuro. 
A perdere di più è Bari con (-5,7) seguita da Taranto (-5,3) e poi Lecce (-4,6) la provincia Barletta, Andria e Trani (-4,3) e infine Foggia (-3,1). 


Alla contrazione dei progetti riproduttivi, con un tasso di fecondità totale sceso lo scorso anno a 1,24 figli per donna da 1,27 del 2019 (era 1,40 nel 2008), si accompagnano anche deficit dimensionali e strutturali della popolazione femminile in età feconda, che si riduce nel tempo e ha un’età media in aumento. Se si fosse procreato con la stessa intensità e con lo stesso calendario di fecondità del 2019, quando si registrarono 420mila nascite, nel 2020 se ne sarebbero osservate circa 413mila, anziché 404mila.
«Avere figli - sottolinea l’Istat nel report - rappresenta sempre più una scelta posticipata e, in quanto tale, ridotta rispetto a quanti idealmente se ne desiderano.

L’età media al parto ha raggiunto i 32,2 anni (+0,1 sul 2019), un parametro che segna regolari incrementi da molto tempo (30,8 nel 2003 e 31,1 nel 2008). In questo quadro, oggi è del tutto usuale che la fecondità espressa dalle donne 35-39enni superi quella delle 25-29enni o che le ultra quarantenni stiano progressivamente avvicinandosi ai livelli delle giovani under25».

Il report

La riduzione della natalità, interessa tutte le aree del Paese, da Nord a Sud, salvo rare e non significative eccezioni. Sul piano regionale le nascite, che su scala nazionale risultano inferiori del 3,8% sul 2019, si riducono dell’11,2% in Molise, del 7,8% in Valle d’Aosta, del 6,9% in Sardegna. 
 «La fecondità - prosegue l’Istat - si mantiene più elevata nel Nord del Paese, con 1,27 figli per donna ma in calo rispetto a 1,31 del 2019 (e a 1,44 del 2008). Nel Mezzogiorno scende da 1,26 a 1,23 (1,34 nel 2008) mentre al Centro passa da 1,19 a 1,17 (1,39 nel 2008). La regione più prolifica è il Trentino-Alto Adige con 1,52 figli per donna, in calo da 1,57 del 2019. Sotto il livello di 1,2 figli per donna si trovano soltanto regioni del Centro-sud. Una situazione decisamente sfavorevole è nelle aree a maggiore declino demografico, che, al contrario, avrebbero grande necessità di invertire le tendenze in corso». 
In Umbria, Abruzzo, Molise e Basilicata si è molto più prossimi al livello di rimpiazzo della sola madre (cioè a un figlio per donna) che non, idealmente, a quello della coppia di genitori (due figli). 


In Sardegna (0,95 figli per donna), per il secondo anno consecutivo non si coglie nemmeno l’obiettivo minimo di rimpiazzare almeno un genitore. «In questo panorama, - prosegue il report - tutt’altro che favorevole, l’unica realtà territoriale che si differenzia dalle altre è la provincia di Bolzano che, con 1,69 figli per donna, detiene il primato della più alta prolificità, seguita ad ampia distanza dalle province di Gorizia (1,42), Palermo e Catania (1,38), Ragusa e Cuneo (1,36) e Trento (1,35). Nel complesso sono 62 (su 107) le province con un livello di fecondità sotto la media nazionale (1,24), segno di una evidente asimmetria a sinistra della distribuzione, con quattro delle cinque province sarde sotto il livello di un figlio per donna e la quinta, Nuoro, che si ferma a 1,01».
In attesa di accertare gli ulteriori sviluppi sul fronte della natalità, un effetto indiretto ma immediato della pandemia si è già verificato riguardo ai processi di formazione delle coppie. Secondo i primi dati provvisori, nel 2020 sono stati celebrati circa 97mila matrimoni, il 48% in meno dell’anno precedente, per un tasso di nuzialità che crolla dal 3,1 per mille all’1,6 per mille. «Considerando quanto ancora oggi vi sia uno stretto legame tra matrimonio e le intenzioni riproduttive nel breve periodo, - conclude l’Istat - non vi è dubbio che anche questo fattore eserciterà una spinta negativa sulle nascite del 2021 e forse anche in seguito». 

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