Le motivazioni della sentenza sul “caso carbone” all'Enel: «L'impianto si poteva fermare»

Le motivazioni della sentenza sul “caso carbone” all'Enel: «L'impianto si poteva fermare»
di Roberta GRASSI
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Giovedì 2 Febbraio 2017, 13:09 - Ultimo aggiornamento: 13:42
BRINDISI - Dal momento dei primi esordi del fenomeno e sino all’adozione di tutte le cautele necessarie e adeguate per eliderlo o abbatterlo sensibilmente (tra queste senz’altro la copertura del carbonile), la governance dell’azienda avrebbe potuto ricorrere all’impiego di combustibile diverso dal carbone”. Parte dal presupposto che Enel avesse consapevolezza delle dispersioni di polvere di carbone il giudice monocratico Francesco Cacucci che, in 312 pagine di motivazione, spiega le ragioni della condanna a nove mesi di reclusione per danneggiamento aggravato e getto pericoloso di cose emessa nei confronti di due manager della società elettrica e della stessa Enel che, stando alla sentenza del Tribunale di Brindisi, dovrà risarcire molti dei proprietari di terreni vicini alla centrale Federico II di Brindisi, quelli “imbrattati” dal carbone.
Due le prescrizioni, 11 le assoluzioni. Il giudice chiarisce perché ha ritenuto di giungere a un accertamento di responsabilità. Parte da un dato inconfutabile e mai posto in discussione: “Non si parla di reati ambientali”. Diversa è la contestazione, incentrata principalmente sulle conseguenze della dispersione di polveri di carbone sui campi degli agricoltori di Cerano. E sottolinea come la “la portata di tale fenomeno fosse stata inizialmente sottovaluta, ovvero più verosimilmente, che la politica aziendale sul punto, anche in termini di investimenti mirati, fosse quella della progressiva verifica della gravità ed estensione del problema che comunque era noto e permanente, con consequenziale, successivo, adeguamento degli impianti rispetto a più elevati standard di tutela richiesti dal caso concreto”.
“Il tutto – prosegue – come si avrà modo di evidenziare dopo aver percorso anche la strada di accordi transattivi con i propreitari dei fondi limitrofi l’impianto industriale, in un certo momento storico ritenuta economicamente più vantaggiosa rispetto al sostenimento di più cospicui investimenti destinati a ridurre l’impatto dell’attività industriale sul territorio circostante”.
Ciò documenterebbe la consapevolezza da parte di Enel della dispersione di polveri, almeno dall’estate 2008 (quando si parlò di copertura di carbonili), e comunque la decisione di proseguire “deliberatamente” con l’utilizzo del carbone come combustibile nonostante le conseguenze.
L’attività di progressivo adeguamento della logistica del carbone, in buona sostanza con opere di ambientalizzazione “avveniva con colpevole ritardo e soprattutto senza mai interrompere la produzione e con il costante impiego di detto combustibile fossile. Il tutto nella piena consapevolezza che – si legge nella sentenza – nelle more dell’espletamento delle procedure di ammodernamento dei macchinari, il fenomeno dell’aero dispersione continuava a verificarsi”.
Per il Tribunale di Brindisi che si è espresso dopo un processo durato quattro anni e dopo una lunga serie di udienze calendarizzate a ritmo serrato, per la mole di documenti da analizzare (tanto quelli prospettati dall’accusa, sostenuta dal pm Giuseppe De Nozza, quanto dalla difesa), l’Enel una volta preso atto dei “danni” provocati dal carbone avrebbe potuto usare altro combustibile: “dalla stessa consulenza tecnica di parte, si è appreso che l’impianto è alimentato anche con gasolio, olio combustibile denso e in passato da ormulsion”.
Quindi, trattandosi di un impianto di produzione a ciclo continuo, in attesa di procedere alla copertura dei carbonili, poi effettuata con due “dome” di avanguardia nel 2015, si sarebbe potuto “ridurre in maniera significativa i carichi di carbone, sino a valutare la possibilità di interrompere le attività di carico e stoccaggio del ridetto combustibile”.
Dolo “diretto” per il giudice. Non soltanto “dolo eventuale” come invece ha concluso l’accusa. Intenzionalità che viene “tarata” sull’altissima probabilità che la propria condotta porti al risultato che non persegue volontariamente: “i vertici dell’azienda agirono rappresentandosi la prosecuzione delle immissioni polverose e dei consequenziali effetti sui terreni e sui loro prodotti come conseguenza altamente probabile”. Vi fu “adesione consapevole e volontaria” al verificarsi degli aventi conseguenti allo spolveramento.
Responsabilità da attribuire solo ai vertici, non avendo gli altri manager Enel potere decisionale sulle scelte riguardanti il carbone.
Il dispositivo fu letto in aula il 26 ottobre: nove mesi reclusione per due manager Enel, Calogero Sanfilippo e Antonino Ascione, prescrizione per altri due dirigenti Enel, Sandro Valery e Luciano Mirko Pistillo, e assoluzione con la formula “per non aver commesso il fatto” per altri 11 imputati, due dei quali imprenditori locali (Vincenzo Putignano, Lorenzo Laricchia, Fausto Bassi, Diego Baio, Gianmarco Piacente, Fabio De Filippo, Giuseppe Varallo, Massimo Distante, Giovanni Madia, Aldo Cannone e Luca Screti).
I due condannati, in solido con Enel Produzione, dovranno anche risarcire alcune delle parti civili e in particolare quasi tutti gli agricoltori proprietari di terreni nella zona (selezionati in ordine di prossimità alla centrale), che avevano chiesto il ristoro del danno subito per il deposito di polvere di carbone sulle colture.
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