Lanzetta: «La strategia di Enel non cambia, svolta green e nuovi assunti in due anni»

Nicola Lanzetta, Direttore Enel Italia
Nicola Lanzetta, Direttore Enel Italia
di Nicola QUARANTA
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Venerdì 25 Marzo 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 16:49

Direttore Nicola Lanzetta, le centrali Enel di Civitavecchia e di Brindisi non saranno convertite a gas. Come è maturata questa decisione? Nella scelta assunta hanno inciso le difficoltà burocratiche, i conseguenti ritardi e le resistenze dei territori nel percorso di conversione a gas dei siti?
«All’interno del più ampio piano di sviluppo di energie rinnovabili e decarbonizzazione progressiva del proprio mix energetico, Enel in Italia ha avviato un processo per la chiusura degli impianti a carbone entro il 2025, in coerenza con le tempistiche previste dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. A sostituirli saranno nuovi poli energetici integrati costituiti da impianti a fonti rinnovabili, sistemi di accumulo e, nella misura strettamente necessaria per mantenere in sicurezza il sistema elettrico italiano, impianti a gas. La quantità di capacità flessibile necessaria per assicurare la sicurezza del sistema elettrico nazionale viene definita da Terna e approvvigionata attraverso le aste del mercato della capacità, che è lo strumento previsto dallo stesso Pniec per garantire il raggiungimento di questi obiettivi. Il sistema di aste del Capacity Market prevede la possibilità di presentare anche progetti il cui iter autorizzativo non sia ancora concluso. Nell’ultima asta svolta a febbraio 2022, relativa alla capacità da approvvigionare per l’anno 2024, il progetto di un nuovo impianto a gas sul territorio della centrale di Brindisi non è risultato necessario. Per quanto riguarda la centrale di Civitavecchia, invece, la scelta di Enel di non presentare il progetto gas deriva dall’ascolto del territorio. In linea generale, la lentezza degli iter burocratici rappresenta un ostacolo per la transizione energetica, soprattutto per lo sviluppo delle rinnovabili. Il paradosso è che abbiamo capitali da investire, progetti pronti e competenze per realizzarli, ma con percorsi autorizzativi troppo lenti e complessi, unitamente all’effetto Nimby che continua ad essere diffuso sul territorio, non si riesce a crescere in questo settore come riuscivamo a fare nel periodo 2011-2012, quando come Paese realizzavamo in un anno dieci volte la nuova capacità rinnovabile che riusciamo a fare oggi».


Né carbone, né gas, dunque. Ma l’Italia così non rischia di dipendere sempre più dagli altri Paesi?
«Ridurre il ruolo delle fonti fossili nel nostro mix energetico a favore di una maggiore presenza di rinnovabili è l’unica strada per essere indipendenti. Oggi circa la metà dell’energia prodotta in Italia è generata da impianti a gas, che viene importato per più del 90%. In questo momento è particolarmente evidente come l’Italia stia pagando le conseguenze della propria dipendenza energetica. Svincolarci dalle fonti fossili, quindi, non è più solo una questione ambientale, ma anche economica e geopolitica, perché riguarda anche la sicurezza delle nostre forniture. Sole, vento, acqua e calore della terra sono risorse che per loro natura non devono essere importate, e l’Italia ha la fortuna di averne in abbondanza. Generare energia da queste fonti è economicamente più vantaggioso. La strada per il futuro, quindi, è sviluppare sempre di più le rinnovabili, insieme a impianti di accumulo dell’energia elettrica (Bess), uscendo dal carbone entro il 2025 e riducendo sempre di più il ruolo del gas. Al tempo stesso dobbiamo agire per diversificare le aree di approvvigionamento di questo combustibile, aumentando ad esempio il numero di rigassificatori presenti in Italia: questa soluzione permetterebbe infatti di acquistare il gas via nave e non solo via tubo, consentendo quindi di acquistare da più Paesi. Un’altra area di intervento per ridurre l’uso di gas è quella dei consumi finali, anche quelli domestici, come il riscaldamento delle nostre case: se invece delle tradizionali caldaie usassimo le pompe di calore elettriche avremmo gli stessi risultati con minore dipendenza dal gas, più rispetto per l’ambiente e maggiore sicurezza».


Il programma di decarbonizzazione avviato da Enel in Italia prevede lo sviluppo di energie rinnovabili in tutto il territorio italiano e la chiusura degli impianti a carbone entro il 2025. Confermato il cronoprogramma previsto dal Pniec? O la crisi ucraina rischia, come ipotizzato dal governo, di comportare, viceversa, il potenziamento della produzione con la riattivazione dei gruppi dismessi?
«Fermo restando il pieno supporto di Enel a eventuali misure eccezionali d’emergenza che il Governo riterrà di intraprendere, la strategia del Gruppo non cambia. La strada è tracciata e non si torna indietro, confermiamo la volontà di uscire dal carbone entro il 2025.

Nelle scorse settimane lo stesso ministro Roberto Cingolani ha chiarito che non sono previste riaperture di gruppi chiusi come quello di Brindisi. Negli ultimi anni l’impianto a carbone di Brindisi ha registrato una continua e progressiva riduzione di produzione a carbone, con l’unica eccezione di questo periodo in cui registriamo un aumento di produzione legato al caro gas e al drammatico contesto internazionale. Ma lo ribadisco: l’unica strada per ridurre la dipendenza dall’estero e tutelarci da aumenti di prezzo sono le rinnovabili, non il carbone o altre fonti fossili».


Quanto la transizione green riuscirà a tamponare l’inevitabile emorragia di posti di lavoro sul territorio?
«La transizione energetica è un’opportunità anche dal punto di vista del lavoro. Quello che sta accadendo è un processo di trasformazione che interessa l’intera filiera dell’energia, dalla produzione, con lo sviluppo di rinnovabili e sistemi di accumulo, al trasporto, con reti sempre più digitali e intelligenti, fino agli usi finali, con soluzioni di elettrificazione dei consumi. È un potenziale di sviluppo senza precedenti se si pensa alla possibilità di creare nuove filiere italiane ed europee e agli investimenti che saranno necessari per questo cambiamento. Per questa bisogna favorire anche una riconversione delle imprese, in coerenza con il percorso di transizione energetica, e lo stiamo già facendo con il coinvolgimento di associazioni datoriali, organizzazioni sindacali e istituzioni locali, presentando in anticipo tutte le attività del Gruppo previste sul territorio, attraverso formazione mirata sui green jobs rivolta alle imprese locali, offrendo servizi di consulenza alle imprese che intendono riconvertire il proprio business. Che la transizione green sia dannosa per il lavoro è un mito da sfatare. Il potenziamento e l’adeguamento della rete elettrica alle necessità della transizione energetica richiedono nuovi addetti e nuove competenze, per cui abbiamo già avviato, insieme a Elis, un corso per la formazione per più di 5.000 tecnici in tutta Italia che verranno assunti nei prossimi due anni dalle aziende che lavorano con noi. E, in termini di filiera, ci sono imprese italiane che decidono di entrare nel settore e produrre “in casa” tecnologie utili alla transizione. Stiamo valutando anche per Brindisi possibili soluzioni di questo tipo, riutilizzando aree del sito che stiamo liberando o che potremo liberare una volta cessata la produzione da carbone per accogliere progettualità esterne e favorire lo sviluppo di una filiera italiana delle rinnovabili o progetti non strettamente legati alla produzione di energia elettrica».


Il consiglio comunale di Brindisi ha impegnato l’amministrazione a sostenere il progetto Enel Logistics, chiedendo che lo stesso preveda il riutilizzo di tutte le infrastrutture Enel produzione in dismissione per progetti industriali e logistici di sviluppo finalizzati a creare la filiera delle rinnovabili e il reimpiego di tutti i lavoratori diretti e indiretti del Polo energetico. Un percorso funzionale allo sviluppo della zona doganale di Costa Morena. Quale il futuro di Enel a Brindisi?
«Le soluzioni cui stiamo lavorando per il futuro del sito vanno proprio nella direzione dello sviluppo delle rinnovabili e dell’economia circolare: è già prevista la realizzazione di impianti fotovoltaici e di accumulo (BESS), in parte già in iter autorizzativo, da realizzarsi nelle aree libere di centrale e in parte da svilupparsi a seguito delle attività di demolizione da avviare dopo la dismissione delle unità a carbone. Tra le ulteriori possibilità di sviluppo energetico del sito, stiamo valutando soluzioni per la produzione di idrogeno verde. Sono in corso ulteriori iniziative di tipo non energetico per individuare opportunità di crescita, sviluppo e rilancio dell’economia e dell’occupazione del territorio brindisino, tra cui quella portata avanti da Enel Logistics, con la finalità di riutilizzare aree e asset non più utili alla generazione termoelettrica, in un settore nuovo per Enel che è quello della logistica portuale e retroportuale. Brindisi ha un evidente potenziale grazie alla presenza di aree che ricadono nel perimetro della Zona Franca Doganale (ZFD), decretata dall’Agenzia delle Dogane nel marzo 2021. Come accennavo, ci sono al vaglio anche progetti per insediare attività produttive di soggetti terzi legati alla filiera delle rinnovabili. Il dialogo con il territorio è l’elemento chiave per il successo dell’iniziativa e per far sì che la transizione del sito di Brindisi sia una reale opportunità, non una semplice chiusura ma un nuovo sviluppo dell’area in direzione di una maggiore sostenibilità».

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