Il prete chiede la libertà, per la Procura deve restare in carcere

Il prete chiede la libertà, per la Procura deve restare in carcere
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Mercoledì 29 Giugno 2016, 06:15 - Ultimo aggiornamento: 17:41
BRINDISI - Per la procura l’unica misura cautelare idonea è la custodia in carcere. La difesa invece sostiene l’innocenza, affermata personalmente nell’interrogatorio di garanzia, dell’ex parroco di Bozzano, Francesco Caramia. È per questo che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza o in subordine la concessione dei domiciliari. Ieri mattina si è discusso il ricorso formulato dall’avvocato del sacerdote, Giancarlo Camassa. Il Tribunale del Riesame si è riservato di decidere: il verdetto sarà noto nelle prossime ore.
 
Caramia risponde di violenza sessuale su un minore: un ragazzino che all’epoca dei fatti contestati, avvenuti tra il 2008 e il 2009, aveva 8 anni e che oggi, adolescente, ha raccontato per filo e per segno i presunti abusi nel corso di un incidente probatorio. Le indagini sono state condotte dai carabinieri della compagnia di Brindisi, al comando del capitano Luca Morrone e sono partite dalla denuncia di un pediatra che aveva raccolto il primo sfogo dell’ex chierichetto che, passato del tempo, aveva confidato di aver subito atti sessuali compiuti da un religioso.
“I ricordi più brutti sono tipo quando lui comunque dopo un po’ di tempo mi incominciava a maltrattare. Nel senso che comunque gli dicevo, per favore lasciami stare, sono un bambino, perché? Lui mi ha cominciato a dare tue o tre schiaffi qualche volta. Poi ha smesso” è la narrazione resa dal ragazzino durante l’incidente probatorio affrontato dinanzi al giudice per le indagini preliminari Maurizio Saso e di fronte allo stesso Caramia, che ha scelto come consulente di parte la criminologa Roberta Bruzzone. Gli episodi si sarebbero verificati in chiesa, quasi sempre dopo le 18, finito il catechismo. Con cadenza bisettimanale. Qualche volta, stando alla ricostruzione della presunta vittima, il chierichetto sarebbe riuscito a evitare gli incontri trovando una scusa.
“Lo capivo che non era una cosa per bambini – ha spiegato – mi immaginavo che non era una cosa per bambini. Gli dicevo sei grande, lasciami stare”. E poi: “Sì qualche volta piangevo. Diciamo, le prime volte non tanto, rimanevo totalmente bloccato lì, cioè mi muoveva come una bambolina. Però a volte piangevo, diciamo, non urlavo. Piangevo, perché sapevo che se urlavo chissà cosa mi poteva succedere. Quindi ho detto piangi e non urlare”.
Per il pm Milto De Nozza, che ha coordinato l’inchiesta, il prete sarebbe “propenso a sentimenti di rabbia e vendetta, dedito a utilizzare con inquietante naturalezza un linguaggio nettamente offensivo e blasfemo”. E poi ancora: “Un uomo egoista, menefreghista, dal fare truffaldino, dalla personalità inequivocabilmente scaltra, insincera e disubbidiente”.
Tutto ciò avrebbe avuto conferma dal comportamento tenuto da don Caramia il giorno successivo alla perquisizione dell’11 dicembre 2015.
L’indagato avrebbe “impartito l’ordine” di far sparire due computer che i carabinieri non avevano prelevato. Ammette, rimarca l’accusa, che da un controllo del suo smartphone sarebbe potuto emergere il collegamento a siti porno. Esclude categoricamente che ci potessero essere contenuti pedopornografici.
Infine la reazione, il tentativo di “screditare” agli occhi del resto del mondo il ragazzino che aveva raccontato le presunte molestie sessuali, a documentare l’indole “vendicativa” del religioso: “A me interessa che esca il nome del ragazzo perché poi, poi lo devono prendere di mira.. siccome i ragazzi miei lo conoscono”. E poi ancora: “Se loro lo sanno, sui giornali può uscire appuntato ma poi gira la voce”.
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