Fine pena per il prete pedofilo: «Rifatemi celebrare messa»

Fine pena per il prete pedofilo: «Rifatemi celebrare messa»
di Roberta GRASSI
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Domenica 13 Giugno 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18:13

BRINDISI - Si ostina a indossare ancora il colletto bianco da prete, di quello non si priverà mai: “Dicono che il sacramento è eterno, io sarò un sacerdote fino alla morte”. Per la Chiesa, invece, è il “signor” Giampiero Peschiulli. E mai più “don”. Un ex parroco condannato per atti sessuali su minorenni, ora libero dopo aver scontato una pena di 3 anni e 8 mesi, di cui 45 giorni in carcere. Ha 79 anni, vive solo nella casa dei suoi genitori, in via Sicilia, a Brindisi. L’appartamento dal quale ha chiesto di poter parlare, dopo anni di silenzio: «Avrei voluto farlo prima, avrei voluto gridare ai giudici di non aver fatto niente. Ma è stata una strategia difensiva, il mio avvocato ha scelto il processo con rito abbreviato, davanti al giudice mi sono avvalso della facoltà di non rispondere, ma volevo parlare. Sono innocente, mi sento vittima di una trappola. Non ce l’ho con nessuno, ma vorrei solo poter tornare a dire messa». 
Peschiulli era parroco della chiesa di Santa Lucia quando fu arrestato, nel 2014, dopo che delle denunce che lo riguardavano, partite da due chierichetti, se ne occupò la stampa locale e poi la trasmissione le Iene. È stato processato anche per possesso di materiale pedopornografico sul pc, ma da quest’ultima accusa è stato assolto. 
«Non ho fatto nulla di male», dice. «Non mi sono neppure reso conto di quello che mi stava accadendo». 
Le indagini sono state condotte dai carabinieri: «Sono sempre stati tutti gentili con me, mi hanno trattato bene». Anche i 45 giorni in carcere, racconta, sono trascorsi senza problemi: «Lì dentro ho anche incontrato qualcuno dei miei alunni. Quando poi sono tornato libero avevo qualche remora ad andare in giro. Ma nessuno si è mai comportato male con me. Vengono a trovarmi molti dei miei ex studenti, ci sono sacerdoti che mi chiamano spesso. Vado a messa, posso concelebrare senza salire sull’altare, da laico. Lo faccio. E dico messa ogni giorno, da solo, a casa mia, perché questa è la mia vita. E’ la cosa più importante per me». Peschiulli ha la casa in perfetto ordine: «C’è una signora che viene ad aiutarmi da trent’anni, per il resto me la vedo io». I muri del soggiorno sono tappezzati di fotografie: il matrimonio dei fratelli, l’incontro con papa Giovanni Paolo II: «Ho sperato che qualcuno mi ascoltasse, che qualcuno ascoltasse anche quello che io avevo da dire», spiega. 
Non una parola sulle presunte vittime: «Non ho fatto niente di male», ripete. 

La vicenda

La storia giudiziaria dice altro. Ed è ormai immodificabile. La sentenza di condanna è stata confermata in appello e in Cassazione. Si parlava di palpeggiamenti, di atteggiamenti borderline: «Ho solo cercato di aiutare qualcuno», sostiene Peschiulli, senza entrare ulteriormente nel merito delle vicende che gli furono attribuite. 
Ci tiene a precisare di non avere bisogno di denaro. «Non ho mai attinto al fondo per il sostentamento dei preti, neppure quando ero parroco alla chiesa di Santa Lucia o al quartiere La Rosa. Insegnavo Religione a scuola, e ora ho la pensione da docente. Sto bene così. Non tornerei a fare il parroco, non chiedo nessun incarico di responsabilità, del resto alla mia età avrei comunque dovuto ritirarmi. Voglio tornare a fare il prete, a celebrare la messa, a vestire i paramenti sacri. È questo che chiedo, e non sono mai stato ascoltato». 
Ne ha parlato con il vescovo, monsignor Domenico Caliandro: «Quando ho potuto – ricostruisce Peschiulli - una volta finito di scontare la pena, ho chiesto di incontrarlo. Mi ha ricevuto, ma poi non ho avuto alcuna risposta. Voglio specificare che non sono mai stato sottoposto a un processo canonico, il mio fascicolo segreto era privo di qualsiasi macchia, anche quando è stato acquisito dall’autorità giudiziaria. Non voglio buttare fango su nessuno, ma ci sono così tante situazioni particolari nella Chiesa, mi chiedo per quale ragione nessuno abbia intenzione di ascoltare le mie parole. Vorrei essere accolto, nuovamente. Il sacerdozio è la mia unica ragione di vita. Se potessi ne parlerei anche al Papa, ci sono stati altri casi in cui vi è stata la riammissione, nonostante sentenze di condanna passate in giudicato». 
Rivuole il suo “don”, passati ormai 7 anni dai fatti: «Sono stato io ad autosospendermi da parroco, all’epoca.

Per consentire alle indagini di fare il proprio corso. Sono stato in silenzio fino a oggi, ma non ce la faccio più. Apprezzo tutte le testimonianze di vicinanza che ricevo, e ne ricevo tante. La mia famiglia mi è sempre stata accanto, mi hanno aiutato in tanti, qualcuno ha anche cercato di truffarmi». Si regge con una stampella, colpa degli acciacchi dell’età: «Mi è rimasto solo un sogno, tornare sull’altare. Spero che qualcuno possa aiutarmi».

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