La questione energetica brindisina si intreccia con quella relativa ai fondi dell’Unione europea nell’ambito del Next generation Eu, la misura pensata dalla Commissione per contrastare gli effetti della pandemia da Covid-19 sul piano economico, ma per ora si resta in attesa delle decisioni del governo. Da diverse realtà del territorio che vanno da Confindustria alla Cgil, era arrivata la sollecitazione di fare del Brindisino una sorta di hub dell’idrogeno verde. L’ultima bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (l’insieme di proposte da finanziare con i fondi europei) contiene una serie di investimenti che si vogliono realizzare in quest’ambito, anche se non c’è alcun riferimento alle aree che saranno coinvolte se non per la produzione di acciaio verde con l’ex Ilva. Nel documento si dice che “la Strategia Idrogeno è attualmente in fase di finalizzazione”, anche se la linea progettuale prevede già “produzione di idrogeno in aree dismesse”, riconvertendo “aree industriali abbandonate per testare la produzione di idrogeno da Fer (Fonti energetiche rinnovabili, ndR) localizzate nelle aree stesse”, consentendo “l’uso locale dell’idrogeno nell’industria” e creando “da 5 a 10 Hydrogen Valley con produzione e utilizzo locali”. Il punto successivo parla di “produzione di elettrolizzatori e sviluppo di una filiera italiana dell’idrogeno”, per creare un polo industriale e soddisfare le esigenze dimercato.
Uno dei punti successivi si chiama invece “sviluppo tecnologico idrogeno verde”, che mira a “rendere le turbine a gas parte integrante del futuro mix energetico, soddisfacendo la domanda in arrivo per estendere la capacità delle infrastrutture di generazione di energia esistenti di incorporare combustibili verdi, in particolare l’idrogeno. La strategia è progettare e realizzare bruciatori in grado di utilizzare idrogeno in sostituzione del gas naturale fino al 70 percento, corrispondente a una riduzione delle emissioni di CO2 del 40 percento”. In generale, Brindisi aveva rivolto le sue aspettative anche, e soprattutto, al Just transition fund, il fondo per una giusta transizione che mira ad aiutare l’economia fortemente dipendente dalle fonti fossili.
Uil ricorda di aver chiesto il superamento delle “politiche del no” (probabile il riferimento all’attuale amministrazione comunale) e chiede di mettere tutti attorno ad un tavolo, ma si sofferma anche sulla notizia «del ridimensionamento di Brindisi dai finanziamenti previsti dal Recovery plan”, stigmatizzando “recriminazioni da parte di quanti sono stati artefici di clamorose bocciature” del piano per uno sviluppo sostenibile, che non avrebbero permesso di ottenere le risorse necessarie «per rinnovare il sistema industriale, dare sostegno a quello sanitario, al commercio ed all’agroalimentare». Licchello critica anche gli scontri sulle progettualità del porto, che si sarebbe consumata «senza un minimo di condivisione e partecipazione con Cgil, Cisl e Uil». Rimarcando che, comunque, «i tavoli istituzionali già aperti dal sindacato territoriale hanno recuperato la discussione e l’attenzione del governo nazionale verso il territorio brindisino», la Uil dice che «questo non è ancora sufficiente se si continuerà a praticare la politica del No».