Ex carabiniere ucciso dal padre della fidanzata: «Famiglia ossessiva, non accettava il legame». Ucciso mentre proteggeva il figlioletto

Ex carabiniere ucciso dal padre della fidanzata: «Famiglia ossessiva, non accettava il legame». Ucciso mentre proteggeva il figlioletto
di Erasmo MARINAZZO
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Sabato 30 Ottobre 2021, 11:00 - Ultimo aggiornamento: 20:18

Padre e madre padroni delle scelte del cuore della figlia di 36 anni. Un'ingerenza arrivata al punto di eliminare fisicamente il nuovo compagno. Racconta questo l'inchiesta che ieri mattina ha visto finire in carcere l'imprenditore turistico Michele Aportone, 70 anni, di San Donaci, con l'accusa di avere ammazzato la sera del 3 maggio a Copertino il maresciallo in congedo dei carabinieri Silvano Nestola,  46 anni, del posto. Nestola “il rovina famiglia”, l'uomo a cui si era legata la figlia Elisabetta che intanto aveva troncato i rapporti con il padre e con la madre Rossella Manieri, 62 anni, per la palese ostilità a quella relazione. Nestola più volte sollecitato dalla Manieri a farsi da parte tanto a farle notare che fosse diventata una stalker.


L'ossessione dei genitori della donna

Nestola, il chiodo fisso dei coniugi AportoneManieri. E per questo ucciso, sostiene l'inchiesta condotta dai pubblici ministeri della Procura di Lecce, Paola Guglielmi ed Alberto Santacatterina, con i carabinieri del Nucleo investigativo del Reparto operativo e del Ros del comando provinciale di Lecce Una indagine indiziaria costruita pezzo dopo pezzo partendo dall'ossessione dei coniugi che rispondono di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai motivi abbietti e futili non approvando la relazione sentimentale fra la vittima e la figlia 36enne, recita l'ordinanza di custodia cautelare del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, Sergio Tosi. Aportone ieri mattina è stato condotto nel carcere di Borgo San Nicola, nessuna misura cautelare è stata adottata per la Manieri poiché non sono emersi indizi sulla partecipazione all'agguato a Nestola per relegarla al ruolo di istigatrice del marito.
Per Michele Aportone anche l'accusa di detenzione e porto illegale del fucile calibro 12 da cui partirono i quattro colpi a pallettoni e pallini che uccisero Nestola verso le 21.50 all'uscita dalla casa della sorella Marta, in contrada Tarantini di Copertino.

Arma che non è stata trovata.

Con il corpo davanti al figlioletto di 11 anni


«Dopo il primo colpo papà gridò di scappare dentro casa della zia», le poche parole riferito dal figlio di undici anni con cui Nestola si stava apprestando a rientrare casa prima che scattasse il divieto di circolazione delle 22 in vigore allora come misura di contenimento della pandemia da Covid 19. Nell'ordinanza, dunque, la conferma che Nestola fece scudo al figlio e che andò incontro alla morte per salvargli la vita. «Un uomo buono, generoso, disponibile e leale, vittima di un omicidio preparato nei minimi dettagli», le parole del colonnello Paolo Dembech, comandante provinciale dei carabinieri, nel corso della conferenza stampa che ha visto anche gli interventi del tenente colonnello Gabriele Ventura (comandante del Ros), Pasquale Montemurro (comandante del Reparto operativo), del maggiore Francesco Mandia (comandante dei Nucleo investigativo) e del tenente Giuseppe Boccia (comandante della prima sezione del Nucleo investigativo). «Se avessimo voluto dare un nome a questa operazione l'avremo chiamata operazione Intuizione», ha sottolineato il tenente colonnello Montemurro.

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Tanto perché sia la ricostruzione del contesto familiare degli indagati quanto la ricostruzione degli spostamenti di Aportone la sera dell'omicidio, sono considerati dagli inquirenti i punti chiave dell'inchiesta. Il primo punto riguarda l'ossessione di controllare la figlia Elisabetta una volta scoperta la relazione con Nestola: padre e madre fecero installare da un tecnico un localizzatore gps sulla sua macchina. E con le applicazioni sui rispettivi smartphone monitorarono gli spostamenti. Il dispositivo è stato poi trovato in un magazzino del campeggio gestito a Boncore (frazione di Nardò fra Porto Cesareo e Torre Lapillo) da Aportone e l'analisi dei dati ha detto che dal 27 marzo al 2 maggio (cioè al giorno prima dell'omicidio), Elisabetta fu controllata 571 volte dalla madre e 134 volte dal padre. Con una media rispettivamente di 16 e quattro volte al giorno.
Nel merito dell'accusa di omicidio volontario, Michele Aportone viene indicato come l'uomo alla guida del suo furgone Iveco Daily che a partire dalle 19.23 del 3 maggio lascia il campeggio di Boncore. A bordo anche un vecchio scooter Piaggio che sarebbe stato poi impiegato per dirigersi da Leverano a contrada Tarantino di Copertino per tendere l'agguato mortale a Nestola. Spostamenti ripresi dalle telecamere degli impianti di videosorveglianza. Se ne parlerà nell'interrogatorio di garanzia di martedì prossimo, Aportone è difeso dall'avvocatessa Francesca Conte.
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