Dalla passione per il mandolino alla penna rigorosa per il territorio

Giuseppe Perrucci
Giuseppe Perrucci
di Massimiliano IAIA
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Giovedì 19 Marzo 2020, 12:49 - Ultimo aggiornamento: 13:42
Non si sa se nella vita contino o meno le apparenze. Nel giornalismo, evidentemente, no. Evidentemente, ma solo per chi ha conosciuto bene Giuseppe Perrucci, da anni collaboratore di vedetta a Torre Santa Susanna, che rappresentava magnificamente e in tutta la sua semplicità quell’essere indecifrabili che ci può rendere al contempo carne e pesce, diavolo e acquasanta, lenti e rock. E quest’ultimo riferimento musicale sarebbe proprio piaciuto a Giuseppe che, al di là del suo lavoro presso gli uffici dell’ex Iacp e oltre alle sue corrispondenze per il “Nuovo Quotidiano di Puglia”, rallegrava le piazze con l’inseparabile mandolino e con la famiglia – nel senso letterale del termine – del Concertino Romantico. Una passione, quella per la musica, che lui metteva anche a disposizione degli amici: alla festa per la pensione del collega Franco Sinisi disse che non poteva esserci perché aveva una serata, ma poi a tarda ora entrò nel locale intonando qualche nota, perché la sua musica doveva essere la colonna sonora di quel congedo, o poteva essere il sottofondo di un amore giurato in eterno, come quando si prestò per una serenata sotto al balcone in un singolare addio al nubilato organizzato a sorpresa per un’altra collega. E avrebbe sicuramente suonato anche oggi, da casa sua, per il suo onomastico.
D’accordo, forse era quell’aria da pacioccone il suo passepartout, ma la magia di Perrucci stava proprio nel passare con facilità dalla vena artistica al rigore più inaspettato. Quando scriveva era così: lo leggevi e ci trovavi la sua preparazione, la sua serietà nelle cronache delle campagne elettorali del suo territorio, e quando c’erano storie più delicate da seguire, perché no?, anche la sua sensibilità. Era sorprendente, Giuseppe, in questo: a Torre, così come nella vicina Erchie, conosceva tutti, e tutti conoscevano lui, e per ogni notizia da approfondire con il diretto interessato c’era sempre un “compare” da chiamare. I compaesani gli riconoscevano la professionalità del giornalista, però lui era comunque “uno di loro”, mescolandosi perfettamente tra la folla torrese e senza contribuire ad erigere quel muro di diffidenza che spesso i giornalisti devono superare. Di rado aveva un taccuino, Giuseppe, forse per questo i suoi interlocutori si sentivano a loro agio. E senza volerlo, anzi senza saperlo, dimostrava ai colleghi che questo mestiere si può fare senza rischiare di passare per snob, senza salire su piedistalli di sabbia, senza per forza prendersi troppo sul serio. Ma lavorando seriamente, questo sì. «Arrivato il pezzo?», si affrettava a chiedere al telefono nel tardo pomeriggio, ansioso di sapere se potesse considerare chiusa la sua pratica giornalistica quotidiana e mettersi in auto per un’altra esibizione, un altro applauso. Lui che - per un beffardo destino se ne va nei giorni contagiati da un coronavirus che ha bloccato tutto, non solo il nostro cuore ieri mattina - non potrà ricevere nemmeno un ultimo applauso a un funerale. Come nella sorte dei più teneri saltimbanchi, utilizzando una definizione che anche lui avrebbe difeso con fierezza, tocca raccogliere gli strumenti e chiudere il concerto, il Concertino, in silenzio.
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