Il cancro si porta via Dabo, il 31enne protagonista del commuovente corto "Apolide"

Il cancro si porta via Dabo, il 31enne protagonista del commuovente corto "Apolide"
di Maria GIOIA
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Venerdì 6 Novembre 2020, 17:48 - Ultimo aggiornamento: 17:50

Dabo non ce l’ha fatta. La sua bellissima storia di umanità e integrazione si è conclusa nella notte di sabato 31 ottobre nel reparto di oncologia clinica polmonare Giovanni Paolo II di Bari. Lì dove è nata l’amicizia con l’oncologo cegliese Domenico Galetta, raccontata nel cortometraggio “Apolide” del regista Alessandro Zizzo. Nell’ultimo anno la malattia - un carcinoma polmonare tenuto a bada dalle cure del dottor Galetta – è peggiorata e non ha lasciato scampo al 31enne, originario della Guinea. Ora si spera che l’avvocato di sostegno, che lo assisteva da qualche mese, ce la faccia a realizzare il suo sogno: essere seppellito nella sua terra natale.


La storia del giovane migrante Med Amine Dabo e del rapporto d’amicizia con il medico cegliese, al centro dell’opera di Zizzo, ha commosso il pubblico, che ha apprezzato la bellezza di queste due anime protagoniste. Dabo e Galetta si sono conosciuti per la prima volta nel novembre del 2016. Prima di quel periodo, l’allora 27enne laureato in Scienze politiche, lasciò la sua terra natale per raggiungere la Francia, specializzarsi e diventare un diplomatico. Passò dal Mali e dalla Nigeria, dove lavorò per cinque mesi. Partì per la Libia e si ritrovò in una casa–prigione prima di imbarcarsi per raggiungere l’Italia. Non sapeva nuotare, ma accettò di salire su un barcone.
Il viaggio della speranza lo portò al centro di accoglienza di Messina e poi, a novembre, a Bari.

Arrivato in Puglia, aveva tosse forte con tracce di sangue e si rese necessaria una visita medica presso l’ambulatorio dell’istituto tumori, in cui era in servizio Galetta, guida del reparto di oncologia medico –toracica, che intuì la gravità della situazione e giunse alla diagnosi di un carcinoma polmonare. In quel momento il dottore divenne Mimmo. Ed entrambi iniziarono a parlare il linguaggio della solidarietà, conoscendosi, stimandosi a vicenda ed entrando l’uno nella vita dell’altro. E così Dabo si fermò a Bari, imparò l’italiano, si iscrisse ad un corso di laurea specialistica e diventò mediatore culturale, riuscendo ad essere forte e a combattere contro la sua malattia, tenuta sotto controllo dalle cure.


Dall’intreccio di queste due vite è nato un esempio di fratellanza per tutti, che lascia il segno in una società imbruttita e bisognosa di ritornare ad essere umana. Umana come Mimmo e Dabo, che nei giorni scorsi è volato via troppo presto, sognando di tornare per l’ultima volta in Guinea, dove lo aspetta suo figlio.

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