La fame d'aria del campione di apnea che ritrovò i bronzi: «Il coronavirus consuma il corpo»

La fame d'aria del campione di apnea che ritrovò i bronzi: «Il coronavirus consuma il corpo»
di Erasmo MARINAZZO
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Mercoledì 22 Aprile 2020, 08:30 - Ultimo aggiornamento: 08:48
Il coranavirus ha fatto breccia anche nei polmoni di un iroman. La fame d'aria, quel senso di non riuscire più a respirare, ha colpito una persona che da 35 anni ha impostato la vita sulla gestione del respiro. Stiamo parlando di Teddy Sciurti, 51 anni, brindisino, istruttore federale di apnea, profondista per antonomasia: un uomo che si stava dedicando a migliorare le capacità polmonari già notevoli, sette litri il volume di aria, allenandosi per quattro giorni alla settimana con la corsa e per tre con il nuoto. Recentemente aveva staccato un personale di quasi 20 chilometri di nuoto in cinque ore e mezzo, ma nel suo palmares conta altri record: come la cattura di un tonno di 258 chili insieme al pescatore subacqueo Sandro Manca (pesce recuperato a 40 metri di profondità) e una cernia a 48 metri. Il suo nome, peraltro, è entrato nella microstoria della città perché da giovane pescatore subacqueo, nell'estate del 1992, scoprì i bronzi di Punta del Serrone insieme al padre Aldo, gli amici Giancarlo Scorrano e Giuseppe Tamburrano e l'allora capitano dei carabinieri Luigi Robusto. Si stava preparando ad un nuova estate di pesca subacquea profonda, Teddy Sciurti, e di pubblicazione dei video-tutorial su YouTube. A marzo è arrivato lo stop. Violento. Il coronavirus. Il contagio? Ce lo facciamo raccontare ora che la guarigione è a buon punto, ora che si trova nell'ospedale post covid di Mesagne.

Lei è un uomo giovane, attento alla salute ed alla forma fisica. Come si è contagiato?
«E' successo sul posto di lavoro, non riesco a darmi altra spiegazione. Sono fisioterapista nel presidio di riabilitazione della fondazione San Raffaele di Ceglie Messapica. Nei primi di marzo è stata contagiata una collega, ma poi da lì è stato un susseguirsi di contagi. Anche mia moglie, nonostante il tampone sia risultato negativo, perché ha avuto gli stessi sintomi come la perdita dell'olfatto e del gusto. Gli stessi problemi sono stati accusati da nostro figlio, ma né lui e né lei hanno sofferto di complicanze respiratorie. Ci siamo chiusi in casa tutti e tre, era il 23 marzo. Mi sono curato con la Tachipirina ma dopo una settimana la situazione è precipitata».

Come si è manifestato il virus?
«Con febbre che variava da 38 a 39 gradi, la Tachipirina mi dava non più di un'ora di sollievo, poi venivo attanagliato dai dolori muscolari, dal freddo, dai tremori, da convulsioni incontrollabili. Non riuscivo a bere e mangiare, nelle pause che mi concedeva la terapia mi sforzavo di alimentarmi anche per sopperire agli effetti deleteri di una dissenteria devastante. Se dovessi tirare le somme direi che è un attacco a 360 gradi alla persona. Ho perso cinque chili, ma di muscoli. Oggi prendo la mia coscia con una mano, che non è una cosa normale per uno come me che a marzo aveva programmato di partecipare alle maratone della Grecìa Salentina e di Madrid».

Sintomi, dunque, più gravi di una normale influenza?
«Certo. E' come qualcosa che mi stava consumando. Un mal di testa violento come una morsa. Una stretta allo stomaco e man mano che passavano i giorni una fame d'aria incontenibile: la notte mi alzavo per aprire la finestra. Poi una stanchezza che ancora oggi non riesco a capacitarmi: basta fare una doccia e sei distrutto fisicamente».

Ha avuto il timore di non farcela?
«Sì, ma ho dovuto lavorare tantissimo su me stesso, per non farmi sopraffare. Ed ora voglio aiutare gli altri ammalati: mi hanno aiutato le tecniche di gestione dell'apnea, il training autogeno e la respirazione consapevole. Innescano un piacere che si tramuta in rilassamento. Mi aiuto così quando mi sveglio più volte nella notte ed avevo già iniziato nel reparto Covid di Brindisi dove la notte trascorreva con le luci accese ed il rumore assordante dei respiratori meccanici».

Come va adesso?
«Va decisamente meglio, ogni giorno va decisamente meglio. E' stato fondamentale il protocollo farmacologico del primario di Medicina interna dell'ospedale Antonio Perrino di Brindisi, il dottore Pietro Gatti. Dopo tre giorni la febbre è scesa e la saturazione dell'ossigeno è migliorata. I tempi di degenza? Le ultime analisi dicono che sono uscito dalla fase critica. Sono qui a Mesagne dal 14 aprile, a giorni verrò sottoposto al tampone di controllo. Se risulterà negativo rientrerò a casa e resterò in quarantena».

Le esperienze importanti lasciano un segno. Anche quelle negative. Ha tratto qualche conclusione?
«In questo periodo blocchiamo l'orologio: non dobbiamo dare la possibilità di gestire la nostra vita al tempo che fugge, al tempo che abbiamo sempre inseguito. Qui non mi annoio, organizzo la giornata step by step, sto facendo qualcosa per me. Mi sveglio alle 4, faccio training autogeno, mi sono fatto portare libri che sto rileggendo con una diversa consapevolezza. Prima correvo sempre. Devo dire che sono stato fortunato, per quello che ho passato e per la sofferenza che ho visto negli altri pazienti. E' una opportunità anche per chi sta a casa, questa emergenza sanitaria: guardatevi dentro, guardate il lato umano».
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