Sanità, medico in quiescenza ma resta in prima linea: «Incalzati dalle emergenze. La pensione? C’è tempo»

Sanità, medico in quiescenza ma resta in prima linea: «Incalzati dalle emergenze. La pensione? C’è tempo»
di Lucia PEZZUTO
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Venerdì 6 Gennaio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 04:36

Potrebbe godersi la pensione, invece preferisce continuare a mettere al servizio della rete ospedaliera la propria esperienza professionale maturata nel corso della sua lunga carriera. E mai come in questi mesi ce n’è davvero bisogno, alla luce della carenza di organico che attanaglia il presidio ospedaliero “Perrino” e la rete di emergenza-urgenza in particolare. Luciano Sardelli, medico specializzato in Pediatria, alle spalle anche un impegno in politica che lo ha visto in passato prima assessore regionale al Turismo e quindi parlamentare, è uno dei professionisti in quiescenza che ha accettato di non riporre il camice nell’armadietto. Tutt’altro, anzi. In reparto continua ad andarci con la stessa passione. E in un clima di complessiva emergenza. Dal primo gennaio ad oggi gli accessi nel Pronto Soccorso dell’ospedale Perrino di Brindisi sono aumentati in modo esponenziale, uno ogni quindici minuti. Centinaia di persone transitano in ospedale con una media di sei, otto ore tra consulenze ed esami prima di avere una diagnosi. Questi gli ultimi dati che raccontano uno stato di emergenza ormai conclamato. Ma in difficoltà non è solo la medicina di Emergenza Urgenza ma anche i singoli reparti. Ne sa qualcosa il dottor Luciano Sardelli, professionista rinomato specializzato in Pediatria.
Dottor Sardelli qual è la situazione in questo momento?
«I dati sono significativi, un accesso ogni 15 minuti dal primo gennaio ad oggi, c’è un impegno lavorativo considerevole. Al Pronto Soccorso ci sono solo due figure professionali, in alcune situazioni anche solo una, un carico di lavoro con notevoli difficoltà professionali. È chiaro che se avessimo un paziente l’ora potremmo seguirlo meglio, ma incalzato dalle emergenze continue non hai lo spazio temporale , la possibilità di riflessione e la possibilità di approfondimento che il caso richiede. Le responsabilità sono molto maggiori per una branca così delicata».
La Asl di Brindisi , avallata dalla Regione, ha deciso di spostare medici dai reparti nel Pronto Soccorso, cosa ne pensa?
«I medici non sono delle pedine che uno le prende e le sposta dove vuole. Non si può chiedere ad un medico che fa il diabetologo di fare il chirurgo, né si può chiedere ad un chirurgo o ad un oculista di fare il Pronto Soccorso. È una richiesta che non si basa su valutazioni di professionalità e competenza ma si basa su di una emergenza ed una mancanza di attenzione. Voglio dire noi li subiamo i processi con conseguenze deleterie per noi e per i pazienti. Tra l’altro in un momento in cui uno potrebbe andare a lavorare dove vuole, perché un medico dovrebbe lavorare in un Pronto Soccorso dove semmai non è preparato, non ha studiato, non ha competenze, perché dovrebbe prendersi questa responsabilità. C’è un tentativo di valorizzare dal punto di vista finanziario questo impegno, ma è una questione di competenze. Una azienda privata se ha bisogno di competenza, prende una persona, la forma e la valorizza. Quindi bisognerebbe dire che chi fa Pronto Soccorso dovrebbe essere pagato di più ma prima ancora deve essere formato».
Aspetto non secondario, dunque.
È quindi una questione di professionalità? Mancanza di personale c’è dell’altro?
«No, non è solo questo. C’è un altro problema che sta emergendo, cioè che purtroppo la medicina del territorio è sempre più insufficiente. Un medico di medicina generale che prima , nell’era pre Covid, visitava e rispondeva all’emergenza dei pazienti, nell’era Covid, un po’ per la necessità di fare i tamponi, un po’ perché sono passati da un massimale di 1500 ad un massimale di 1800 pazienti ed il peso professionale è aumentato a dismisura , non è più in grado di fare da filtro e qui al Pronto Soccorso arrivano pazienti senza aver avuto un filtro dal territorio».
La direzione sanitaria dice è in ogni caso è una situazione temporanea. Lei quando pensa che si potrà superare questo stato di emergenza?
«Non è una situazione temporanea . È una situazione che si strutturerà e si degraderà nel tempo. È chiaro che io lo dico perché la vedo e la vivo dall’interno. La direzione sanitaria dice che è temporanea nella gravità dell’emergenza ma questa situazione non è che tra sei mesi è risolta, perché c’è un problema anche sul territorio di cui l’ospedale si sta facendo carico. Quindi si vedono persone che non sono neppure state visitate dal medico del territorio anzi semmai avendo capito che esiste un codice in base al quale si ha una priorità o meno, alcuni aumentano la sintomatologia. La direzione sanitaria negli ospedali fa i miracoli, però i problemi sono molto più complessi di quelli che sembrano, sono problemi di cultura, di formazione professionale, di territorio. Queste sono le conseguenze della cattiva politica, perché la gestione sanitaria è affidata a persone inefficaci, vanno in Commissione Sanità senza aver mai vissuto queste realtà, non hanno competenze professionali.

Siamo nelle mani della disorganizzazione».

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