Brindisi, omicidio Carvone: in aula testimone-chiave e collaboratori

La polizia sul luogo dell'omicidio
La polizia sul luogo dell'omicidio
di Erasmo Marinazzo
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Martedì 25 Ottobre 2022, 21:40 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 02:02

La Procura antimafia vuole blindare le testimonianze che hanno indicato in Giuseppe Ferrarese, 26 anni, di Brindisi, l’uomo che la notte del 10 settembre del 2019 sparò tre colpi di pistola ed ammazzò il 19enne Giampiero Carvone davanti alla sua casa di via Tevere (quartiere Perrino), sotto gli occhi di suo padre Piero affacciato al balcone. 

Nell'aula bunker

Domani nell’aula bunker del carcere Borgo San Nicola di Lecce saranno ascoltati in videoconferenza i collaboratori di giustizia Andrea Romano, Angela Coffa ed Annarita Coffa. Con loro anche Alessandro Polito, marito di Annarita Coffa, ergastolano per l’omicidio di Cosimo Tedesco del 2014, e dichiarante nel processo conclusosi a luglio dell’anno scorso e nato dall’inchiesta Synedrium. Nella lista c’è anche la testimone-chiave, la donna che diede la svolta all’inchiesta condotta dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Carmen Ruggiero, e dei poliziotti della Squadra mobile: quella donna capace di rompere il silenzio per dire che non era vero che quella notte Giuseppe Ferrarese si trovasse in sua compagnia. «Consegna agli inquirenti una verità in grado di resistere a qualunque prova di forza», scrisse la giudice per le indagini preliminari, Giulia Proto, nell’ordinanza di custodia cautelare che ha fatto finire in carcere Ferrarese alla fine di giugno. «Dimostrando un grande coraggio ed un forte senso della giustizia».

Nuovo indagato

La donna - dicono le carte dell’inchiesta - venne poi minacciata per tenere la bocca cucita e coprire il sospettato. Minacciata per testimoniare il falso: di questo risponde Orlando Carella, 53 anni, di Brindisi, nell’avviso di fissazione dell’incidente probatorio della gip Proto. Questa circostanza era stata già evidenziata nell’ordinanza di custodia cautelare, il passo successivo è stato l’iscrizione sul registro degli indagati dell’uomo che ad aprile dell’anno scorso sarebbe andato a trovare la testimone-chiave sul posto di lavoro per invitarla ad uscire, metterle un braccio attorno alle spalle, batterle una mano e dirle di “mucciare il ragazzo”. Di coprirlo. A Carella viene contestata l’aggravante di avere messo sul piatto della bilancia il peso della sua condanna per associazione mafiosa passata in giudicato, poiché una delle regole ferree dei clan è l’omertà.

La svolta

La testimone-chiave raccontò che Ferrarese qualche giorno dopo l’omicidio sarebbe stato un fiume in piena nella serata trascorsa insieme davanti ad un pub del centro: le avrebbe confessato di avere ammazzato Carvone perché «se non fosse stato lui sarebbe successo a me, avrebbe parlato».

Perché Carvone non gli sembrava intenzionato ad andare incontro alla richiesta di versare del denaro per riparare l’auto che aveva rubato e danneggiato. E perché Carvone avrebbe fatto il suo nome quando si trovò a parlare della reazione violenta dei proprietari dell’auto rubata, dando così - questa l’idea che si sarebbe fatto Ferrarese - il via alle ritorsioni.

I collaboratori

Questa ricostruzione è anche il frutto delle dichiarazioni di Angela Coffa: raccontò di averlo saputo direttamente da Ferrarese, mentre si trovava a casa di un conoscente comune. Andrea Romano ha riferito di Carvone come un “cane sciolto”, di un temperamento sin troppo turbolento tanto da farlo tenere ai margini del clan.
Di peso anche la testimonianza di Annarita Coffa: «Ho appreso che l’autore dell’omicidio è Giuseppe Ferrarese da.... che lo riferiva a mio marito Alessandro Polito nel corso di una telefonata». Ferrarese è difeso dagli avvocati Cosimo Lodeserto ed Emanuela De Francesco, Carella da Giuseppe Guastella.

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