Mafia a Brindisi: Rosa Stanisci ricorda gli anni della lotta al racket

Rosa Stanisci
Rosa Stanisci
di Danilo SANTORO
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Sabato 9 Aprile 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 17:35

Nel corso del suo intervento ieri a San Vito dei Normanni, durante l’evento per celebrare il 30esimo anniversario della costituzione dell’associazione antiracket Acias, il presidente della regione Puglia Michele Emiliano ha ricordato più volte quella «donna coraggiosa che veniva arrabbiata in procura a chiedere aiuto». Nel 1992 quando l’attuale governatore pugliese era un magistrato all’inizio della sua carriera alla Procura di Brindisi, Emiliano ebbe modo di conoscere e apprezzare il coraggio dell’allora giovane sindaco di San Vito dei Normanni, Rosa Stanisci, che aveva raccolto l’eredità amministrativa dell’altro primo cittadino impegnato nella lotta alla mafia Vincenzo Iaia. Una sinergia forte quella che si creò in quegli anni tra Comune, magistratura e società civile, fondamentale per sconfiggere la criminalità. Erano gli anni delle richieste estorsive a piccoli e grandi imprenditori. Ma anche gli anni degli attentati in luoghi simbolo della comunità, come quello all’interno di una scuola elementare nello stesso territorio di San Vito.
Rosa Stanisci cosa ricorda di quegli anni in quella stagione di terrore per San Vito dei Normanni?
«Ricordo la paura in un primo momento del paese, ma anche la responsabilità nell’affrontare una battaglia che si preannunciava abbastanza impegnativa. E soprattutto il coraggio degli operatori economici che in prima persona hanno voluto mettere a rischio la loro vita per il bene della comunità. La cosa che mi ricordo di più è la vittoria: abbiamo costruito una lotta così importante che non solo ha messo dentro i delinquenti, ma ha anche restituito dignità al paese».
Come fu possibile creare una rete così forte contro la criminalità ?
«Fu possibile, come ha detto Tano Grasso, investendo sulla fiducia, cercando di capire che insieme potevamo fare tanto. Da soli i commercianti non avrebbero potuto ribellarsi. Perché tra l’altro la criminalità che faceva gli attentati metteva a rischio la loro vita, ma soprattutto lasciandoli soli nella denuncia potevano ritrarre. Invece la solidarietà che abbiamo creato intorno a loro come comunità e Istituzioni è servita poi ad incoraggiarli e quindi a continuare in questa battaglia testimoniando anche nei processi e finalmente liberandoci di queste persone».
Ci fu un momento in cui lei ebbe paura per la sua persona?
«No. Le deve dire di no. Mi fu proposta anche una specie di scorta ma io rinunciai. Il punto vero era che avevo paura del clima che c’era. Perchè il clima era pesante. Non è stato semplice fare quella battaglia. Noi in un primo momento avevamo tanti contro. Anche una parte del paese che non credeva in questa battaglia. Poi invece piano piano abbiamo recuperato. La paura quella vera è stata quella quando ad un certo punto hanno sparato su un imprenditore che aveva denunciato ed ho sentito in quel momento un po’ di senso di responsabilità. Mi sentivo quasi in colpa di aver messo su una situazione che poteva anche altre conseguenze. Per fortuna poi le cose sono andate diversamente».
A 30 anni di distanza, quella esperienza che eredità ha lasciato nella comunità sanvitese?
«Io credo che negli anni c’è stato qualche altro tentativo, ma sono fioccate subito le denunce.

C’è stata subito la collaborazione delle persone interessate con la compagnia dei carabinieri di San Vito. Quindi voglio dire: quell’esperienza ci ha insegnato a ribellarci alla criminalità. Questa è sicuramente la vittoria più grande»

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