L’Asl vuol ricoverare negli ospedali di comunità i pazienti con l’influenza

L’Asl vuol ricoverare negli ospedali di comunità i pazienti con l’influenza
di Maurizio DISTANTE
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Lunedì 8 Gennaio 2018, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 20:02
Dopo le inaugurazioni dei mesi scorsi, gli ospedali di comunità della provincia di Brindisi sono ancora in attesa di entrare in servizio a pieno regime. Quello messo meglio è quello di Fasano, dove entro una decina di giorni, giorno più giorno meno, è atteso l’arrivo dell’accreditamento regionale, strumento indispensabile per ottenere le dotazioni strumentali e di personale previste dalla legge. Per Mesagne, invece, pare che i tempi saranno più lunghi anche se l’esito dovrebbe essere lo stesso: il ritardo nell’ottenimento del documento di accreditamento dovrebbe essere legato esclusivamente a questioni di natura burocratica.
Tra qualche mese, stando così le cose, si potrà stilare un primo bilancio del funzionamento di queste nuove strutture che dovrebbero contribuire a implementare la più volte invocata rete ospedale-territorio che ha il compito di migliorare le condizioni ambientali e cliniche degli ospedali tenuti in piedi dal piano di riordino elaborato dalla Regione. Una delle polemiche più vibranti che hanno animato il dibattito attorno al piano di riordino, infatti, è proprio quella legata alla doppia velocità con la quale si stanno mettendo in pratica le disposizioni del documento che sta cambiando i connotati del sistema sanitario regionale e, in maniera ancor più visibile, locale: in molti pensano che le chiusure di ospedali, reparti e altre strutture stiano avvenendo molto più velocemente dell’attivazione dei processi che dovrebbero garantire quei miglioramenti promessi da un sistema più snello, efficiente e performante.
L’attesa per capire quanto i neonati ospedali di comunità possano assolvere al compito per il quale sono stati pensati è tanta. Secondo il direttore generale dell’Asl, Giuseppe Pasqualone, le nuove strutture dovrebbero limitare in maniera significativa, ad esempio, il fenomeno delle extralocazioni, i ricoveri di pazienti in reparti diversi da quelli deputati alla cura delle proprie patologie, accogliendo nelle corsie gli utenti non acuti: uno degli esempi portati dal numero uno di via Napoli per spiegare come raggiungere l’obiettivo ha riguardato i tanti casi di influenza che, in questi giorni, stanno intasando i reparti dell’ospedale Antonio Perrino, producendo un record di extralocazioni. 
 
Di diverso avviso, almeno su questo punto, è Donato Monopoli, segretario provinciale della Fimmg, la federazione italiana dei medici di medicina generale, che ha contribuito alla messa a punto del concetto di ospedale di comunità, partendo dall’“Unità di degenza territoriale” di Cisternino, più di dieci anni fa, fino a quelle che sono le strutture attuali. «L’ospedale di comunità – spiega Monopoli – non nasce per accogliere i malati di influenza.
Se ricovero un influenzato nella stessa stanza di un paziente col diabete scompensato o di uno in riabilitazione pneumologica, rischio di peggiorare la situazione clinica di questi ultimi, anche di molto. L’unica soluzione potrebbe essere quella di dedicare intere stanze a questa tipologia di patologie ma i 40 posti letto previsti negli ospedali di comunità non sarebbero assolutamente sufficienti». 
Questo, ovviamente, non vuol dire che alla prima febbre bisogna precipitarsi in ospedale. «Assolutamente no: stiamo per entrare nel periodo di pandemia dell’influenza, se tutti i malati pensassero di andare in ospedale, sarebbe un disastro. L’influenza, nei casi normali, va curata a casa: né al Perrino né nell’ospedale di comunità».
Chiarito il punto, però, Monopoli spiega quali sono i miglioramenti per il sistema derivanti dall’introduzione di queste nuove strutture territoriali. «Da questo tipo di struttura si possono trarre diversi vantaggi, economici e assistenziali: centralizzare l’assistenza infermieristica e riabilitativa in un unico luogo, ad esempio, consente di risparmiare tempo e prestazioni che, diversamente, si sarebbero dovute erogare a domicilio. Se ne curano di più in meno tempo. In un ambiente protetto, poi, gli utenti sono controllati e hanno a disposizione strumentazioni, macchinari e consulenze specialistiche, come accade a Mesagne e a Fasano, dove gli ambulatori sono al piano di sotto». 
Gli ospedali di comunità sono gestiti in gran parte dagli infermieri che sono retribuiti come i colleghi che lavorano in ospedale: i medici, invece, ricevono una tariffa fissa a ricovero, 250 euro, indipendentemente dalla lunghezza dello stesso. «Facendo un calcolo abbastanza preciso – afferma – il costo di un ricovero in ospedale di comunità va dai 150 ai 177 euro al giorno: se si dovessero garantire le stesse prestazioni in regime di Adi, l’assistenza domiciliare integrata, i costi lieviterebbero fino ad arrivare a svariate centinaia di euro per utente».
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