Riconversione a gas della centrale Enel: dal ministero arriva un nuovo stop

Riconversione a gas della centrale Enel: dal ministero arriva un nuovo stop
di Francesco RIBEZZO PICCININ
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Sabato 8 Maggio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 19:29

BRINDISI - È un elenco particolarmente lungo e corposo quello dei chiarimenti e delle integrazioni richiesti dalla commissione tecnica Via all’Enel nell’ambito del procedimento per la Valutazione d’impatto ambientale relativa al progetto di riconversione a gas della centrale “Federico II”.
Un elenco che, inevitabilmente, allungherà i tempi per l’eventuale approvazione del progetto, il cui iter autorizzativo è partito nel 2019 con la verifica di assoggettabilità a Via. E che sembra confermare le tensioni in corso all’interno del ministero della Transizione ecologica tra il ministro Roberto Cingolani ed i tecnici del suo stesso dicastero. Dopo il deposito, che avverrà entro il 15 di questo mese, delle controdeduzioni da parte di Enel si aprirà infatti nuovamente la fase delle osservazioni da parte di enti pubblici e associazioni. A specificarlo è proprio la lettera di accompagnamento inviata dal ministero all’azienda: “Data la natura e l’entità delle integrazioni richieste occorrerà procedere al riguardo con l’avvio di una nuova fase di consultazione”.
E tornano all’ordine del giorno, ancora una volta, le preoccupazioni da parte dei vertici Enel rispetto al rischio che non si riesca a rispettare la data del 2025 per il cosiddetto “phase out” dal carbone. Le richieste sono potenzialmente in grado di produrre effetti anche radicali sul progetto già presentato da Enel.

Le richieste

La commissione, infatti, chiede all’azienda di presentare delle alternative tecnologiche “che compendino l’opportunità di conservare la produttività del sito, incrementandone l’efficienza, e la compatibilità ambientale dell’opera in un’area già pesantemente condizionata dall’attività in esercizio. In particolare devono essere esaminate quelle alternative che prevedano una produzione anche parziale basata sulle fonti rinnovabili o una più contenuta taglia dell’impianto”.
Tutto questo per rendere più coerente il progetto non solo con gli obiettivi di transizione energetica ma anche “con le più probabili richieste del mercato, considerata anche la produzione di energia della centrale negli ultimi anni”. Ma anche per “ridurre l’impatto assoluto su tutti i comparti ambientali in considerazione della reale attività del sito che, negli ultimi anni, risulta molto ridimensionata rispetto alla produzione autorizzata”. E infine per “contenere le emissioni di Co che in fase 3, su alcuni recettori sensibili determinano un incremento, seppur modesto delle concentrazioni massime”.
Ma la commissione chiede di approfondire anche le alternative localizzative per il metanodotto e per le nuove opere da realizzare. E riguardo al combustibile, occorre un piano fino al 2030 che evidenzi la graduale riduzione dei combustibili fossili e dunque delle emissioni, con contestuale aumento della produzione da rinnovabili.
Anche alla luce di quanto sottolineato dal Comune di Brindisi nelle osservazioni al progetto, la commissione chiede che siano previste “idonee misure di mitigazione e compensazione dell’opera e delle emissioni”, che comprendano il “miglioramento della naturalità degli ambiti di pertinenza fluviale e dei paesaggi costieri”, la “creazione di un bosco con specie autoctone ecologicamente coerenti”, il “riordino bio-ecologico dell’area agricola circostante il sito”. Rispetto alle dismissioni di fine esercizio, poi, “occorre approfondire il quadro degli interventi previsti identificando fin d’ora i necessari interventi di riqualificazione del territorio a compensazione finale degli impatti determinati che, se per lo scenario ante 2025 appaiono ridimensionati nel confronto con la configurazione d’impianto autorizzata, nello scenario post 2025 risultano incrementali”.
Infine, Enel dovrà “progettare uno studio epidemiologico a coorte storica in collaborazione della Asl territoriale”, da realizzare entro uno o due anni dall’entrata in esercizio della “nuova” centrale e da aggiornare a distanza di cinque anni “per vedere le differenze nell’insorgenza di patologia latenza inferiore a 5 anni correlate alla nuova tecnologia”.

Ed infine dovrà effettuare “un approfondimento sulle deposizioni al suolo degli inquinanti e sulla loro non rilevanza in termini di potenziale esposizione della popolazione”.

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