Messaggi dal carcere: intercettato e bloccato il tentativo di evasione di un boss

Messaggi dal carcere: intercettato e bloccato il tentativo di evasione di un boss
di Salvatore MORELLI
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Mercoledì 7 Marzo 2018, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 11:56
Alcuni detenuti brindisini che scontano la pena nel carcere di Foggia utilizzavano dei telefonini per comunicare all’esterno, ma questa paradossale storia prende una svolta particolare quando l’11 ottobre dell’anno scorso una “rovente” conversazione telefonica viene intercettata dai finanzieri del Pef di Brindisi, il Nucleo di polizia economico finanziaria, che scoprono un progetto di evasione di un boss foggiano da compiere nel carcere dauno durante la notte di Capodanno. Il 42enne “primula rossa” di Mattinata, sul Gargano, è da qualche tempo ritenuto il capo di una cosca locale, soprattutto dopo la morte di Mario Luciano Romito, ammazzato il 9 agosto 2017 nella strage di San Marco in Lamis.
A far scattare le indagini che nei giorni scorsi hanno visto 11 arresti con l’operazione “Nel nome del padre” sarebbe stata proprio quella telefonata. Il progetto di evasione del boss, che in tale impresa doveva essere aiutato da alcuni fiancheggiatori, è stato fatto saltare dai finanzieri del Comando provinciale di Foggia, sotto la direzione e il coordinamento della locale Procura della Repubblica. 
Casa circondariale di Foggia, cella numero 3. E’ da qui che l’uomo, detenuto assieme a un uomo del suo clan, impartiva ordini e istruzioni ai suoi gregari all’esterno grazie all’utilizzo di un telefonino, non il solo, introdotto ed utilizzato inizialmente nel penitenziario da alcuni detenuti brindisini. Le investigazioni, caratterizzate dalla esecuzione di numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali, hanno consentito di svelare come all’interno dell’istituto penitenziario siano state utilizzate nel tempo diverse utenze telefoniche, avvenute con continui cambi di schede sim e con linguaggi criptici. «Ti devi sbrigare, ti devi sbrigare. Vedi di farmi questo piacere, mandami questa cintura, gentilmente. Manda la cinta, manda la cinta, manda la cinta».
 
Nell’autunno scorso parlava così il boss foggiano, trattando con i referenti esterni le più diversificate attività illecite, con particolare riferimento al traffico di sostanze stupefacenti, al reperimento di armi clandestine e, da ultimo, all’eclatante progetto di evasione dal carcere. Il boss garganico sognava e programmava quindi di lasciare il carcere, ma per farlo bisognava entrare in possesso di due fili di metallo che qualcuno avrebbe dovuto portare in carcere nascosti in una cinta o una borsa. Fili di metallo che sarebbero servite per segare le sbarre della cella. Il 29 dicembre scorso, all’interno della sala colloqui del carcere, con la collaborazione del personale della polizia penitenziaria, i militari hanno sequestrato 2 fili diamantati, detti “capelli d’angelo”, introdotti in carcere da soggetti, poi indagati, e risultati tecnicamente idonei a segare le sbarre di una cella. Oggi, sono proprio le intercettazioni sui telefonini utilizzati da 4 detenuti rinchiusi nella casa circondariale dauna (anche se i nomi dei brindisini coinvolti sono omissis al momento) l’elemento principale su cui poggia l’inchiesta “In nome del padre”. 
L’esecuzione di un’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari di 11 persone costituisce l’epilogo di una complessa ed articolata attività investigativa avvenuta nel periodo compreso tra il mese di ottobre 2017 e il mese di febbraio.
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