Una città da evacuare: quando la sicurezza è prigioniera dei protocolli

L'area dell'ordigno presidiata dalle forze dell'ordine
L'area dell'ordigno presidiata dalle forze dell'ordine
di Mino DE MASI
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Venerdì 29 Novembre 2019, 08:44

Ma è proprio indispensabile? È la domanda, già intrisa di sospettosi dubbi, che alla fine inquieta i brindisini chiamati all’alba del 15 dicembre a lasciare le proprie case. Sì, perché nessuno finora ha saputo e voluto spiegare la reale minaccia di quei 40 chili di tritolo rimasti sepolti per 78 anni nell’ordigno bellico lanciato sulla città dagli aerei di Sua Maestà britannica. Sappiamo solo che tutte le persone che abitano nel raggio di 1.617 metri dovranno evacuare, calcolo indicato dai tecnici dell’11° Reggimento del Genio Guastatori di Foggia che si occuperanno del disinnesco dell’ordigno.

È il protocollo, si afferma. E tanto è bastato per dover organizzare il più grande esodo di una città, più di 53mila persone che in poche ore dovranno lasciare le abitazioni, defluire verso i centri di accoglienza, attendere la bonifica della bomba e nel pomeriggio, si spera, rientrare con il cessato allarme. Ecco, dunque, che l’interrogativo sulla obbligatorietà del provvedimento rapportato al potenziale offensivo del residuato bellico quanto meno è legittimo al di là delle linee guida e dei formulari che non sono né libri sacri né obblighi. Indicazioni che però a Brindisi sono state imposte con marzialità nonostante qualche obiezione stroncata sul nascere.

Nei mesi scorsi altre città sono state costrette a “chiudere per bomba”: è accaduto a Battipaglia, Formia, Ancona e più recentemente a Bolzano dove un ordigno da 227 chili rinvenuto in una piazza del centro storico ha imposto l’evacuazione di 4mila abitanti (su 106 mila che ne conta la città) e doverose precauzioni per altri duemila obbligati invece a restare chiusi in casa. L’imponenza dell’operazione di Brindisi è seconda solo alla contestatissima evacuazione di Vicenza del 2001, quando dovettero muoversi in quasi 70mila, ma resta sempre un intervento invasivo dettato da protocolli tecnici (ancora quelli) mai confrontati con le specificità di un territorio.

Ovvio che la prima essenza dev’essere la sicurezza delle persone, e fra queste soprattutto quella dei coraggiosi artificieri che dovranno operare intorno all’ordigno: sono loro che, nonostante la robotica impiegata in questo tipo di azioni, rischiano la vita per un’attività necessaria al benessere della comunità, dedizione e responsabilità che non possono considerarsi banalmente “rituali”.

Il problema semmai è a monte, lo è sulla mancata attribuzione di compiti e opzioni prevista dal legislatore per le autorità periferiche di governo, sulla rigidità di tabelle formulate nei e per i “campi aperti”, nella pigra accettazione di regolamenti promossi più dalle consuetudini che dalla reale efficacia, ma si sa l’Italia è un Paese che si muove secondo formali profili burocratici che ingigantiscono i problemi anziché risolverli. Che detto in termini proprio striminziti vuol dire che nessuno vuol assumersi responsabilità perché viviamo ormai una società in guerra con se stessa.

Accade con le allerte meteo e i sindaci lesti a chiudere scuole e parchi perché se poi arriva l’alluvione rischia di portarsi via anche loro, se poi invece brilla il sole sono contestati per l’allarmismo e i disagi provocati agli studenti e alle famiglie. Va peggio ai medici, soprattutto per gli ospedalieri, costretti ad applicare la “medicina difensiva” con il risultato di triplicare la spesa sanitaria e allungare le liste d’attesa perché un conto è affidare il paziente alla “batteria diagnostica” secondo valutazioni di scienza e coscienza, altro per una salvaguardia legale, che se non considerata riesce addirittura a screditare una professionalità che si vuole “omnibus”, ovvero più scaltra che savia.

È una deriva anche questa, una condotta che ha enormi costi sociali e una premialità quasi mai giusta, con l’aggravante che da noi non si ha neppure l’umiltà di osservare come ci si comporta altrove. Uno dei Paesi più all’avanguardia nel disinnesco di bombe è la Germania, colpita nella Seconda guerra mondiale da una pioggia di bombardamenti a tappeto. Ancora oggi in media vengono ritrovati ogni anno qualcosa come cinquemila ordigni, tanto d’aver indotto la Bundestang a legiferare un’apposita norma e definire in un massimo di mille metri il raggio di sicurezza anche per bombe ad alto potenziale. Il “servizio” è affidato a ditte private e solo nell’ultimo mese di ottobre sono stati disinnescati a Kiel (12 ottobre), Colonia (14 ottobre) e Bielefeld (7 ottobre) ordigni di oltre 500 chili mantenendo un perimetro di sicurezza di 500 metri. Chiaro che così qualche intrigante quesito si fa strada se a Brindisi si decide di bloccare pure un aeroporto distante 3,300 chilometri dal campo dell’ordigno, con aerei che potrebbero, con condizioni meteo usuali, decollare e scendere sul versante nord della pista 31, quella che passa sul “sentiero” di Torre Guaceto. A meno che non si considerino troppo fragili i velivoli che ogni giorno vengono utilizzati da milioni di viaggiatori, una deduzione che dispiacerebbe al signor Boeing e non solo a lui. Servirebbe, anzi serve più chiarezza poiché proprio i silenzi equivoci alimentano quelle fake difficilmente controllabili in uno stato da psicosi, come quelle di una città ritenuta gracile per le sue industrie e condotte.

Nel 1983 Enzo Biagi ospitò in una trasmissione televisiva un “disinnescatore” di professione che in un video mostrava dinanzi ai curiosi, tra loro persino dei bambini, come neutralizzare un bomba d’aereo con due spolette alle estremita; nell’aprile del 2006 per abbattere il palazzo di Punta Perotti a Bari furono usati, sia pur chirurgicamente e con calcolata ingegneria, 350 chili di esplosivo mentre la gente si “godeva” la scena dal mare o a poche centinaia di metri sul Lungomare. Ci prendiamo qualche responsabilità anche noi, ma l’impressione è che a Brindisi non si sia voluta seguire una “terza via” preferendo la soluzione “omnibus”, quella dell’“avevamo detto”, quella che tiene più in considerazione gli eventuali ricorsi alle compagnie d’assicurazione e alla magistratura, quella delle ordinanze talmente severe da apparire impraticabili nella fascia extra 500 metri. Un atteggiamento che va disinnescato con la bomba.
 
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