Braccianti sottopagati e sfruttati: nei guai madre e figlio

L'operazione anti caporalato
L'operazione anti caporalato
di Roberta GRASSI
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Mercoledì 13 Aprile 2016, 06:36 - Ultimo aggiornamento: 12:51

Quando ieri mattina i carabinieri hanno bloccato il furgoncino dei “caporali” una donna, la dodicesima passeggera, è rimasta lì, nascosta fra i bagagli e coperta dagli indumenti da lavoro. Immobile, per risultare invisibile. Prima di operare il sequestro del mezzo l’hanno fatta scendere i militari dell’Arma, gli stessi che per tre mesi hanno indagato su un presunto giro di sfruttamento del lavoro che ritengono fosse gestito da tre persone di Villa Castelli, due delle quali sono state arrestate e poste agli arresti domiciliari. Si tratta di Chiara Vecchio, di 45 anni e del figlio Vito Antonio Caliandro, di 29 anni. Un provvedimento di obbligo di dimora dovrà essere eseguito invece nei confronti di una donna rumena di 34 anni, Violeta Dumitrescu, che avrebbe fornito il proprio contributo. E’ al momento irreperibile.

Il blitz è scattato ieri all’alba. Le indagini erano partite invece nel settembre del 2015 e sono state eseguite dai militari dell’Arma della compagnia di Francavilla Fontana, coordinati dal pm Raffaele Casto. Il gip che ha firmato i provvedimenti con cui è stata disposta la misura cautelare è Tea Verderosa che ha pienamente condiviso le tesi accusatorie, ritenendo “granitico” il quadro indiziario.

L’accusa per tutti è di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, in prosa “caporalato”. E’ il reato che punisce proprio chi recluta manodopera e la sfrutta in forma “organizzata”. Chi operi violenza, minaccia, intimidazione “approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori”.
Tutto ciò sarebbe avvenuto in quella che è ritenuta una piazza storica per il reperimento di braccianti a basso costo: da Villa Castelli, secondo quanto è stato possibile appurare, i furgoncini partivano carichi di persone per Noicattaro. Un viaggio giornaliero di 170 chilometri in tutto, andata e ritorno. Per trascorrere fino a 18 ore, in tempi di vendemmia, nei campi e in azienda. Solo 5 ore di sonno, in alcuni casi. Il tempo di rientrare a casa, dai propri bambini, per poi ripartire all’alba. Appuntamento alle 3 e mezza davanti alla Chiesa Madre. Una trentina le “vittime”. Ma le indagini proseguono: non si esclude che ce ne possano essere molte di più.

Sotto il giogo del presunto sfruttamento del lavoro persone in difficoltà. Donne separate con mutuo da pagare. Con figli a carico, case minuscole senza finestre e senza riscaldamento. Tutte italiane, pugliesi, brindisine. Solo qualche straniero nel gruppo. Per un compenso mensile che talvolta non superava i 450 euro, nonostante la busta paga (così come riscontrato dai militari) fosse perfettamente conforme a quanto previsto dal contratto nazionale del lavoro. Gli investigatori hanno iniziato a scavare dopo la denuncia di una di loro. Si è scoperchiato forse l’ovvio, quel che tante denunce sindacali in tempi passati e recenti avevano cercato di far riemergere. Un sistema vecchio ma difficile da sanzionare, in assenza di una - seppur isolata - ribellione. Gli appostamenti, le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno fatto il resto. L’ispezione delle abitazioni anguste e degradate di alcuni lavoratori hanno consentito di verificare che chi accettava le condizioni imposte era in un pressante stato di necessità. Una delle dipendenti è stata trovata dagli uomini in divisa in uno scantinato dell’abitazione della 45enne di Villa Castelli. In piccolo deposito per le biciclette e per altre cianfrusaglie c’era un lettino in cui trascorreva la notte.

Nei campi bisognava recarsi sempre. Anche in caso di precarie condizioni di salute: da una conversazione si evince che un operaio, nonostante in seguito alle prolungate ore di lavoro a cui era stato sottoposto avesse accusato “forti malori” che gli impedivano di guidare, era stato obbligato a rientrare in servizio “in modo autoritario”.
Il pm e il gip sono giunti ad analoga conclusione. La Vecchio avrebbe svolto l’attività di reclutamento dei braccianti, impiegati per tagliare e confezionare l’uva nell’interesse “della Taruli società consortile” di Noicattaro. Gli inquirenti sostengono che la donna “fosse perfettamente a conoscenza dello stato di bisogno e di necessità dei lavoratori”. E che lo sfruttamento della manodopera “avveniva mediante minaccia di licenziamento o di non versare gli assegni dovuti, qualora i bracianti non avessero accettato le condizioni lavorative a loro sfavorevoli”.

I carabinieri hanno altresì appurato che ingegnosamente madre e figlio, proprio con l’apporto della giovane rumena di cui al momento non c’è traccia, avrebbero escogitato un sistema per eludere i controlli delle forze dell’ordine. La ragazza li precedeva. In caso di posti di blocco scattava la segnalazione. Il “sovrannumero” di operai nei furgoni sarebbe stato nascosto quindi con un metodo semplice: quelli in più restavano per strada, anche sulla Statale. Per tornare a casa a piedi.

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