I due rispondevano a vario titolo del trattamento illecito di dati personali (prescritto), di tentata concussione per costrizione mediante abuso di qualità e poteri, porto e detenzione abusivi di un’arma e delle munizioni. Il pm Francesco Carluccio aveva chiesto la condanna a 4 anni e 6 mesi per Iaia, a 9 mesi per l’altra imputata. Ieri, prima della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Brindisi, in composizione collegiale (presidente Simone Orazio), hanno avuto luogo le arringhe difensive degli avvocati difensori Fabio Di Bello e Gianvito Lillo.
Le parti civili
Le altre accuse
Quindi aveva trattato, sempre in concorso con la sorella, illecitamente i dati personali degli “investigati” perché «con il fine di trarne un guadagno avrebbe immagazzinato numerosi dati personali, anche sensibili: targhe di auto, dati anagrafici, posizione geografica di persone e automobili, dati sul rischio di solvibilità economica, sulla situazione patrimoniale, sui luoghi di frequentazione di persone e perfino sulle loro abitudini sessuali». Frutto tutto ciò di attività di pedinamento, osservazione, videoregistrazione compiuta per strada, senza incarico, senza il consenso dell’interessato, e senza il rispetto – era emerso – delle procedure autorizzative per il trattamento dei dati personali. Al fine di consegnare poi gli esiti delle ricerche ai committenti perché lo utilizzassero «anche a fini personali». Alcuni di questi addebiti sono risultati troppo datati per poter giungere a una condanna, ed è stato quindi deciso il proscioglimento per prescrizione. Per altri c’è stata pronuncia assolutoria.
La denuncia dell'imprenditrice
Iaia rispondeva quindi anche di tentata concussione: fu denunciato da una piccola imprenditrice, Francesca Giglio (parte civile al fianco dell’avvocato Paoloantonio D’Amico.), per averla ostacolata nell’organizzazione dell’evento “Capitale 43” previsto per il Natale del 2013 all’esterno del centro commerciale Le Colonne, «abusando del proprio ruolo istituzionale» che gli concedeva la possibilità di interagire direttamente con il segretario generale, con il dirigente dell’ufficio Traffico o con il comandante della polizia municipale. L’obiettivo, mancato, era – ritenne all’epoca il pm Milto Stefano De Nozza sulla base di interrogatori e di accertamenti di polizia giudiziaria della Digos effettuati sulla querela formulata dalla Giglio – garantire l’affidamento della vigilanza alla “sua” Ipi Srl, società in cui furono eseguite perquisizioni proprio nel dicembre 2013, quando divenne nota l’esistenza di una inchiesta. Infine il porto illegale di una pistola Beretta Calibro 9, munita di 100 proiettili, che avrebbe ottenuto sulla base di una «dichiarazione mendace» e cioè con la parziale modifica delle proprie generalità.