Dieci anni fa il sequestro ma ad Acque Chiare mancano tante risposte

Il degrado di Acque Chiare
Il degrado di Acque Chiare
di di Roberta Grassi
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Sabato 26 Maggio 2018, 08:00
BRINDISI - Era l’alba di dieci anni fa (ora più, ora meno). Un’alba indimenticabile per il popolo di Acque Chiare. Furono apposti i sigilli all’intero villaggio e nessuno avrebbe immaginato che, passati i due lustri, sarebbe stato il disastro. Perché, al di là del merito giudiziario, della ragione o del torto, della correttezza degli iter, della colpevolezza o meno degli attori principali e di quelli secondari, è evidente a tutti che laggiù non è rimasto che niente.  O meglio, un contenitore vuoto fatto di belle villette curate su cui pende un provvedimento di confisca “provvisorio”. C’è un ex lido in degrado. Lo scheletro di un albergo che forse mai sarà. Insomma, un altro spicchio di abbandono su un litorale che reclama da anni una riqualificazione che si stenta ad avviare davvero. Che è iniziata a sprazzi, ma non ha mai spiccato il volo.

Era il 28 maggio del 2008. Sequestro preventivo disposto dal gip con 11 indagati iniziali. Poi la vicenda giudiziaria è stata “spacchettata”, si direbbe oggi. E’ stata divisa in più parti e, prescritte le ipotesi di corruzione, non resta ora che la lottizzazione abusiva. Prescritta anch’essa, a dire il vero, ma senza che vi sia stata, per il processo madre, una pronuncia che l’abbia formalmente riconosciuta.

Il giudizio principale che riguarda quattro persone, il costruttore Vincenzo Romanazzi, il notaio Bruno Romano Cafaro, il progettista Severino Orsan e l’ex capo dell’Ufficio tecnico del Comune di Brindisi, Carlo Cioffi, si è concluso con quattro condanne in primo grado, confermate anche in secondo. Dal momento del sequestro in poi, si erano susseguiti ricorsi, riesami e istanze. Le villette di Acque Chiare furono dapprima “sigillate” senza che fosse concessa la facoltà d’uso ai proprietari, poi vi fu un cambio di programma, necessario a garantire la manutenzione delle stesse. La custodia fu data all’intestatario, dopo un periodo di affidamento al sindaco che dovette rinunciarvi per ragioni di insostenibilità dei costi. Fu stabilito che si potesse utilizzare il bene, unicamente al fine di effettuare i lavori ed evitarne il deterioramento. Ma nulla in più.

La posizione dei proprietari è stata infatti tratteggiata in diversi modi nel procedere dell’inchiesta (prima) e del processo poi. Erano dapprima considerati dalla stessa accusa estranei ai fatti, terzi in buona fede. Secondo i difensori si tratta di vittime di un raggiro, per altro parte civile nel giudizio per truffa unificato a quello in cui in circa 170 sono imputati per il concorso in lottizzazione abusiva.

Per la Corte d’Appello di Lecce sono «ignoranti colpevoli». Avevano tutti gli strumenti per verificare, per comprendere che quei cartelloni pubblicitari che “spacciavano” case al posto di stanze d’albergo, quali avrebbero dovuto essere, erano in realtà ingannevoli. «Non hanno effettuato le minime verifiche del caso prima di sottoscrivere gli atti di compravendita» riuscendo quindi a «perfezionare il reato di lottizzazione» con la negligenza e l’imperizia che sono tipici della colpa.

La sentenza è stata depositata il 2 maggio 2013. «La scarsa diligenza degli acquirenti emerge in maniera palese al momento della sottoscrizione del contratto definitivo di compravendita: in tutti i contratti di compravendita si legge “l’acquirente dichiara di essere a conoscenza che l’immobile venduta fa parte di un complesso turistico alberghiero integrato”». Turistico alberghiero. Non residenziale. «Gli immobili – si legge ancora nelle motivazioni – erano di nuova costruzione ed erano situati in prossimità del mare in una zona in precedenza inurbanizzata e in edificata; già questo elemento avrebbe dovuto imporre cautela nell’approcciarsi all’acquisto, non trattandosi di una comune compravendita di un appartamento in città o in una zona già interessata da costruzioni». La storia giudiziaria è ferma a questo punto: si aspetta che la Corte europea dei diritti dell’uomo (in particolare la Grande Chambre di Strasburgo) risolva una questione tecnica e consenta alla Cassazione di apporre il punto con una decisione definitiva.

Intanto le villette sono lì, sempre lì. Perfette, ma vuote. Si attende di sapere se saranno o meno confiscate. I viali sono deserti. La piscina non c’è più. La spiaggia non è più quella che era un tempo. L’albergo è uno scheletro, ora affidato – dopo il fallimento della Acque Chiare srl – all’amministrazione giudiziale. Un rustico enorme che fa bella mostra di sé sulla litoranea il cui destino, comunque vada, è più che mai incerto.
 
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