Act Blade, lo strano caso a Brindisi: la “cattiva” burocrazia e le lezioni su scelte e Pnrr

Act Blade, lo strano caso a Brindisi: la “cattiva” burocrazia e le lezioni su scelte e Pnrr
di Francesco G. GIOFFREDI
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Giovedì 1 Dicembre 2022, 07:08 - Ultimo aggiornamento: 5 Dicembre, 23:05

Se l'antipasto è questo, il menu completo su Pnrr e dintorni allora autorizza a temere il peggio. Nonostante stavolta siano stati evitati, davvero per un soffio, il pasticcio impresentabile e il danno irreversibile: in queste ore il dossier Act Blade, a Brindisi, si sta per fortuna chiudendo positivamente, dopo troppe trappole superflue. Un investimento da 27 milioni di euro, un polo per la produzione di pale eoliche innovative. Gli ingredienti per un rapido lieto fine c'erano tutti fin dall'inizio, insomma: sviluppo economico, green economy, centralità nella filiera delle rinnovabili, sinergia tra pubblico e privato, il contesto agevolato (la Zes, Zona economica speciale) che da teoria si fa pratica, il Pnrr.

E invece no: nel Paese della burocrazia tentacolare, dei veti e dei poteri non decidenti, ci sono vicende talmente paradossali da diventare emblematiche. E questa storia può essere comunque un monito per tutti e una base per ripensare molte cose. Con due lezioni finali.

La storia del progetto

Per ripercorrere le tappe, bisogna riavvolgere il nastro a luglio, quando Act Blade - sfruttando le facilitazioni della Zes - ha presentato all'Autorità portuale istanza di autorizzazione unica per una concessione demaniale. Il progetto prevede due tensostrutture amovibili su 5.400 mq, più ulteriori aree scoperte da 7.368 mq. Dal 2022 al 2028 produzione di quasi 1.700 pale, 162 posti di lavoro e un'innegabile centralità per Brindisi nella filiera dell'energia green.

La società partecipa pure a un bando di Invitalia a valere su risorse del Pnrr, circostanza non marginale: c'è l'onere - ha spiegato Act Blade un mese fa - "di indicare a Invitalia il sito entro il termine di istruttoria preordinato alla sottoscrizione del contratto di sviluppo, che Invitalia intenderebbe rogitare entro la fine dell'anno".

Tradotto: bisogna fare in fretta, perché altrimenti sfumano i fondi del Pnrr. Non essendo ancora disponibili le aree della Zona franca doganale appannaggio di Enel Logistics, Act Blade opta per un sito in località Sant'Apollinare, demanio marittimo in piena Zes. La miglior soluzione per accogliere agevolmente le componenti via nave, garantire un trasporto su terra breve e senza curve e rotatorie, anche perché altri siti richiederebbero per esempio attività di bonifica, in un'area industriale che di per sé combatte da tempo con un'ingestibile perimetrazione del Sito d'interesse nazionale (altra, kafkiana, storia di vincoli). La durata della concessione è fissata da Act Blade a sette anni, meno non è consentito dai paletti di Invitalia e della Zes. Ed è qui che comincia una specie di odissea.

L'odissea

Sempre a luglio, l'Autorità portuale convoca la cosiddetta "conferenza di servizi asincrona" per acquisire tutti i pareri: alcuni a favore, molti contrari. Una parte delle valutazioni negative cambia nel frattempo di segno, al secondo round - la "conferenza di servizi sincrona", nelle scorse settimane - resistono però pareri negativi. Quelli del Comune e della Soprintendenza, per esempio: secondo il primo, l'insediamento in quel sito non sarebbe compatibile con il Piano regolatore portuale, problema comunque superabile visto che l'autorizzazione unica in ambito Zes ha valore di variante urbanistica; secondo la Soprintendenza invece le tensostrutture amovibili interferirebbero con territori costieri tutelati dal Piano paesaggistico regionale e con aree archeologiche (così è considerato il capannone dismesso della fu Montecatini).

«Quei due pareri avverte l'Autorità portuale non pregiudicano solo l'investimento, ma qualunque sviluppo del porto medio». Intanto, a complicare le cose, s'è messo pure il conflitto tra decisori, un cortocircuito a colpi di lettere e convocazioni. Il commissario Zes infatti non ci sta: spetta a lui, sostiene, incardinare l'iter autorizzativo, e non all'Authority. Scrive allora al governo per spiegare e rivendicare primato e competenze. La risposta del ministero è secca: il sito prescelto ricade sul demanio marittimo, perciò il timone resta all'Autorità portuale. D'accordo, ma Act Blade aveva almeno incassato nel frattempo il disco verde? Macché, alla faccia delle semplificazioni. L'Authority, davanti al caos dei pareri discordi, ha attivato la procedura prevista dalla legge istitutiva della Zes: palla all'autorità politica, quindi al ministro per il Sud, per tentare una sorta di procedura di conciliazione.

Raffaele Fitto ha riunito tutti proprio lunedì, superando i dinieghi e di fatto blindando il sito di Sant'Apollinare. Tutto bene. O quasi. Prima di tutto, c'è voluto un vertice nazionale e l'intervento di un ministro, dopo i tanti tavoli locali, per andare a dama. Poi, dal verbale della riunione con Fitto, s'è scoperto che la Soprintendenza è stata coinvolta dall'Autorità portuale «per ragioni di opportunità»: insomma, il parere non era necessario, ma meglio cautelarsi, non si sa mai. Sempre alla faccia delle semplificazioni. Infine, il Comune ha disertato l'incontro di lunedì - non proprio il massimo - ufficialmente «perché ci hanno mandato il link sbagliato per la riunione»: un peccato, perché l'amministrazione poteva (e forse doveva) essere sin dall'inizio alla testa di un iter che insiste sulle corde sensibili del futuro del territorio, invece di fare melina.

Troppa burocrazia

Al Sud che ha un disperato bisogno di abbreviare, semplificare, autorizzare, si finisce ancora per allungare, litigare, complicare, avocare a sé senza decidere, bloccare e temporeggiare, sperando che a scegliere siano altri, prima o poi, col rischio che il poi diventi mai. Il tutto con immancabile intreccio di leggi, piani regolatori, vincoli, cavilli, paura della firma. E pregiudiziali prese di posizione che a conti fatti, e nella migliore delle ipotesi, non producono granché. La politica dei "no" e delle non scelte, del resto, ha già inferto alla Puglia molte ferite e lasciato in eredità altrettanti vuoti e rimpianti. Brindisi è un lembo di Mezzogiorno alla faticosa ricerca di una nuova mappa di navigazione economica e industriale, e dove perciò stimolare crescita e investimenti sarebbe non solo auspicabile, ma persino urgente. Act Blade, società di diritto britannico che s'è affacciata sul porto adriatico nel luglio scorso, vuol contribuire col proprio tassello.

Ma l'iniziativa imprenditoriale stava rischiando di saltare, inghiottita dallo stallo e dagli stop, ostacolata dal rimpiattino di responsabilità, accuse e dinieghi. Non la prima volta, purtroppo: a Brindisi comincia a essere lungo, troppo lungo, l'elenco delle chance gettate al vento per eccesso di "no", cautele, paure e ritrosie. L'investimento da 27 milioni, per ora, è salvo. Non sempre ci sarà però il colpo di coda riparatore del ministro di turno a tirar fuori dalle sabbie mobili tutto e tutti. Il vizio allora è alla radice, ci insegna questa storia. Con due lezioni. La prima: Brindisi, così come tutti i territori in transizione e difficoltoso cammino, deve scegliere identità, strategia e driver di sviluppo, e perseguirli con tenacia e senza tentennamenti. Possibilmente con una classe dirigente all'altezza delle sfide, dei processi decisionali e delle visioni. La seconda: o si interviene sui meccanismi basilari di progettazione, autorizzazione e spesa delle risorse a livello locale, o il Pnrr al Sud resterà una chimera, iscritto al lungo catalogo delle occasioni sprecate. E sarebbe un errore imperdonabile.

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