7,42: sette anni fa l'attentato agli studenti di Brindisi L'orrore in una tesi di laurea

7,42: sette anni fa l'attentato agli studenti di Brindisi L'orrore in una tesi di laurea
di Mimmo TARDIO
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Domenica 19 Maggio 2019, 19:54
Ci sono racconti che si perpetuano negli anni stancamente, diventando rituali se non scontati. Un tempo solo i racconti veramente intriganti, le stupefatte narrazioni orali, avevano quella magia che imprime nella memoria la traccia di ogni efficace affabulazione. Oggi ben altre sono le narrazioni ed i luoghi o le occasioni, in buona misura virtuali e freddi, che accolgono chi ama il racconto. E poi ci sono storie, anche tragiche, che naturalmente si imprimono in noi con forza incredibile, tanto che quando siamo chiamate a ricordarle ognuno mormora tra sè e sè: Io quella mattina mi trovavo. Sono quei racconti che ci incatenano per sempre a quell'istante nel quale qualcosa di emozionante o terribile generalmente ci raggiunse. È così anche per il racconto di quella maledetta mattina del 19 maggio 2012. La storia di quella narrazione è ormai e sin troppo risaputa per riprenderla di nuovo. Se non per rammentare fuggevolmente, ancora una volta, che dalle 7,42 di quel tragico sabato nel quale una dolcissima figlia della nostra terra, Melissa Bassi, perse la vita per una bomba davanti alla sua scuola, il Morvillo Falcone a Brindisi, il mondo sembrò fermarsi in attonito stupore e a lungo. Quella storia di una bomba messa davanti ad una scuola e la morte di una studentessa avevano sollevato un dolore che non è affatto esagerato definire, in qualche misura, universale. Quel che ne seguì, l'indignazione, i giovani soprattutto, in quel meraviglioso pomeriggio del 19 maggio 2012, che offrirono un fiume lunghissimo di persone per le strade di Brindisi e le loro mani imbrattate di rosso al cielo e rivolte alla nostra insipienza a non voler vedere e capire i mali del mondo, sfociò poi nelle paure, le indagini e poi il colpevole, per niente balordo e pazzo, affidato il 7 giugno alla giustizia.
E' storia risaputa tutto ciò, rivissuta in noi tante volte in ogni frame, per poterne concepire un ennesimo racconto. Anche se poi Melissa, quell'involontaria e dolce eroina che è divenuta, oltre a manifestazioni ed intitolazioni varie, ha poi finito per scatenare inevitabilmente anche altri pensieri. Chi perde la vita in tenera età ed anche suo malgrado viene immolata su un altare che gli altri le erigono e non solo entra a far parte di quella schiera di persone che banalmente associamo oramai alla consorteria degli eroi che son tutti giovani e belli ma, si vorrebbe dire per fortuna, pongono anche domande e questioni magari mai poste prima nel nostro paese. In qualche modo accade che la forza del loro ricordo finisca per filiare ipotesi di ricerche mai prima intentate con più forza.
Come è accaduto a Sabrina Muri, cugina di primo grado di Melissa Bassi, quando ha conosciuto dentro di sè quell'immane dolore che è la perdita di una parente stretta, con la quale lei con più certezza ed autenticità condivideva sogni, mondi da conquistare e futuro ed allora un pensiero incessante le è nato dentro. Ci si può preparare, educare alla morte?. Già, anche a lei sarà sembrata una domanda ovvia e banale agli inizi, di quelle che ci facciamo dentro tutti quando un dolore martellante sembra avere in noi il sopravvento. Come è stato, ad esempio, per la madre di Melissa Bassi che ha conservato nell'espressione facciale una sorta di dolore indicibile e rappreso. Divenendo una sorta di Madonna Addolorata, si è anche scritto, quasi a ricercare in parallelo nel volto di quella Madonna avvolta nel nero che chiude i Misteri del venerdì santo, una sorta di dolore simile al suo. Un immenso dolore materno, sempre e comunque.
Sabrina Muri ha voluto cercare qualche risposta a quelle prime domande che ci sovvengono, che partono da quelle prime volte nelle quali abbiamo l'idea in noi di quel dato terribile della morte, nostra ed altrui, che è idea che sempre ci accompagna ed è sin troppo rimossa in noi e può aggredirci improvvisamente. Si sarà tenuti dentro negli anni questi pensieri Sabrina Muri, già nel tempo nel quale studiava avidamente Psicologia ed altro al Morvillo Falcone. Sarà certamente partita dall'idea che occorra coinvolgere i giovani, soprattutto loro, in una discussione e formazione sui temi come la morte e la perdita delle vite umane intorno a noi impongono. E che occorra liberarli da quella sorta di censura che la nostra società ha progressivamente messo in atto. E così Sabrina ha pensato di scrivere la sua tesi di laurea seguendo quel suo rovello, doloroso ma fertile, che dentro si portava sin da quel maledetto sabato 19 maggio 2012. E lo ha fatto argomentando sulla giustezza che prepararsi, in qualche modo e misura, all'idea della separazione definitiva è indispensabile; perché poi non colga nessuno del tutto impreparato e tramortito e che occorrano dei luoghi deputati a farlo, in primis la scuola. Dandole quella giusta plausibilità e banale ineluttabilità delle quali tutti siamo comunque consapevoli. Sin da quando abbiamo prima contezza del mondo.
Ecco allora che Sabrina Muri offre a noi tutti, tra le altre cose, una sorta di constatazione pedagogica e di metodo importante; una specie di consiglio, sicuramente giusto e veritiero e comunque da seguire. Scrive infatti nella sua tesi, che Ci si trova spesso di fronte a situazioni in cui emerge chiaro il timore di dimenticare la persona amata e con lei tutti i momenti che sono stati vissuti assieme. In altri casi, invece, si può avvertire la paura di essere dimenticati dopo la propria morte. La scrittura dona, per questa ragione, maggiore serenità nell'affrontare la morte in quanto offre la possibilità della testimonianza, che si definisce come un modo per tenere vivo il ricordo, e conseguentemente il dialogo, con la persona defunta. In fondo Sabrina Muri esorta noi tutti ad avere un rapporto più sincero con la sorella morte e magari a escogitare, seguendo natura ed inclinazione personali, le forme e le modalità con le quali renderla più accettabile. E forse la scrittura, ci può davvero soccorrere. Come scrive il Nobel M. Vargas Llosa, per il quale in tutte le occasioni in cui mi sono sentito abbattuto o ferito, al limite della disperazione, dedicarmi anima e corpo al mio lavoro di cantastorie è stata la luce che indica l'uscita dal tunnel, la scialuppa che porta il naufrago sulla spiaggia. E piace concludere con le sincere e belle parole di Sabrina Muri, che ha voluto affidare a questa testimonianza. Sono quelle che per davvero, come cantava il poeta Fabrizio de Andrè, raccontano che dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior. Ecco le sagge parole di Sabrina: Il tempo e la maturità acquisita dopo quella tragedia mi hanno fatto apprezzare di più l'importanza di guardarsi dentro, ognuno con le proprie emozioni e sentimenti. Io la vivo a modo mio è questo il mio modo. Ho trovato il mio equilibrio. Auguro a tutti gli altri, per chi ancora non l'avesse raggiunto, di trovare il proprio.
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