Si chiamava Gianna, da quando aveva scelto di seguire la sua identità di donna. Era indigente, la sua situazione economica andava peggiorando anche per via della pandemia in corso. E, il 18 gennaio, ad Andria, città dove viveva, è venuta a mancare. A quel punto la famiglia ha scelto di far affiggere i manifesti funebri, nei quali il suo nome era indicato ancora al maschile, scatenando l'ira degli amici e del web. La prima a farsi portavoce della protesta è stata Vladimir Luxuria con un post su Facebook: «Gianna, i tuoi occhi erano di rimmel impastato di lacrime, solo perché eri trans ti hanno insultata e scartata, ti hanno fatta cadere tante volte e ti sei rialzata, ma adesso per una caduta fatale non ce l’hai fatta».
Quei manifesti, però, non sono andati a genio a molti. Nemmeno a Taffo funeral, la nota agenzia di pompe funebri romana, nota per le sue campagne di comunicazione politically uncorrect. «Muore ad Andria una persona transgender, Gianna, indigente perché scartata dalla società.